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La fila per gli autobus e la colazione in camera: alle Olimpiadi la parola d'ordine è distanziamento - Il diario del nostro inviato

I volontari e gli addetti fanno rispettare rigorosamente tutte le norme. E anche in zona mista gli atleti restano lontani

Dal nostro inviato a Tokyo

Nelle Olimpiadi che alla vigilia hanno avuto come unico protagonista il Covid c’è un’altra parola d’ordine che non lascia mai soli partecipanti e addetti ai lavori: distanziamento. Si inizia la mattina presto in albergo, dove (almeno nel mio, non è così dappertutto) è vietata la colazione in gruppo. I tavoli rimangono vuoti, tutti gli ospiti scendono nella sala apposita e vengono dotati di contenitori e di borsine di plastica, possono servirsi al buffet con quello che vogliono ma poi devono tornare in camera per mangiare. Cosa si metta sotto i denti a volte non si capisce benissimo, ma questo è il classico ragionamento di chi vorrebbe la brioche a colazione con coppa e salame a pranzo. Un sogno.

Terminato il primo pasto della giornata ci si mette in attesa dell’autobus che porta nelle varie sedi, o venue come le chiama chi conosce le lingue. E anche qui il volontario che attende alla fermata è disponibile ma rigoroso: non ci si può avvicinare a meno di un metro dagli altri e tocca a lui sistemare la fila che poi modifica trasformandola magicamente da orizzontale a verticale con un paio di gesti quando un’auto parcheggia sul marciapiede per scaricare dei prodotti destinati a un parrucchiere.

Sugli autobus ovviamente è vietato sedersi vicino, mentre al centro stampa principale, quello che raccoglie centinaia di giornalisti provenienti da tutto il mondo, è tutto un fiorire di divisori in plexiglass. Anzi, prima bisogna espletare il rito del tampone salivare che non è un’operazione per nulla scontata, poi si viene catapultati in un’enorme sala in cui si può lavorare in una postazione completamente circondata dal plexiglass che ricorda vagamente i parlatori dei carcerati che si vedono nei film americani. Stesso discorso anche nelle varie zone miste, dove gli atleti passano e vengono intervistati dai giornalisti. Le transenne obbligano a rimanere almeno a due metri e per chi non ha aperture alari degne di Michael Phelps è operazione complicata avvicinare il registratore in modo che si possa sentire qualcosa.

Peccato, perché le Olimpiadi da sempre sono state sinonimi di unione, condivisione e conoscenza reciproca: il Covid per il momento ci sta portando via anche questo.

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