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Lo scotch sulla maglia, il documento di identità dimenticato: due anni fa la vergogna di Cuneo-Pro Piacenza

Il 17 febbraio 2019 andò in scena l'ultimo atto della società rossonera. Un 20-0 (poi cancellato dagli annali) che sancì uno dei momenti più bassi nella storia del nostro calcio

Tutto lascerebbe pensare alla rotta del fallimento con i libri contabili portati in Tribunale ed i creditori pronti a rivalersi su quello che resta della società. Il patron Pannella però gioca un’ultima carta: nel corso dell’udienza pre-fallimentare fissata per l’undici febbraio, l’avvocato del presidente dimostra di aver provveduto al pagamento di diversi creditori e dichiara l’intenzione di ripianare i debiti del club. Nemmeno il Bar Sport ci crede più, la Lega però ha una stagione azzoppata da riassestare e decide quindi di ripristinare il regolare svolgimento delle gare del Pro “al fine di evitare gravi pregiudizi alle altre società e quindi all’intero campionato”.

L’appuntamento sul calendario è quello della trasferta di Cuneo. I rossoneri devono organizzare una squadra nel giro di sei giorni: un’impresa improba per chiunque, a maggior ragione per una società che nel frattempo si è vista radiare la formazione Berretti e dispone di uno staff ormai striminzito, per usare un eufemismo.

Quello che nessuno si aspetta è vedere il Pro scendere sul terreno di gioco ma sul campo dei piemontesi si scaldano sette ragazzi con la casacca della formazione rossonera. Sarr Lamine, Di Bella, Isufi, Valente, Migliozzi, Cirigliano e Del Giudice sono i calciatori – tutti di classe 2000, 2001 e 2002 – che si apprestano a giocare la partita. Sono sette, il numero minimo necessario per disputare un incontro. Di loro si sa poco e nulla e forse è meglio così. L’allenatore? È lo stesso capitano di quel manipolo di ragazzi buttati nella mischia per evitare alla dispera(tissim)a la radiazione.

Se a frenare i precedenti tentativi del Pro erano stati problemi ai tesseramenti il 17 febbraio 2019 tutto sembra regolare. Anzi no: perché Isufi ha dimenticato il documento d’identità a casa e non si può effettuare il riconoscimento. In sei non si può giocare ed ecco che il palcoscenico di questa tragedia sportiva si popola di un altro interprete che di mestiere fa il massaggiatore: il suo cognome, Picciarelli, viene scritto con scotch ed una penna sul retro della maglia, trentanove gli anni di età.

A norma di regolamento si può giocare e così è: undici giocatori contro sette, in quella che si trasforma in una tragicommedia. Il portiere Sarr si tuffa quasi goffamente, il Cuneo segna a ripetizione mentre chi commenta non sa quali parole utilizzare: basterebbe forse il silenzio per commentare quei minuti interminabili di agonia calcistica. Nel cuore del secondo tempo dalla panchina entra un giocatore rossonero, lo stesso Isufi che nel frattempo si è visto recapitare la carta di identità. Picciarelli è preda dei crampi, i piemontesi mostrano pietà, o forse pena, per quello spettacolo indegno.

I gol alla fine saranno venti. Venti a zero. Il risultato fa subito il giro del mondo (anche se in seguito sarà sostituito da un 3-0 a tavolino), il Pro diventa conosciuto anche negli Stati Uniti. Ma c’è poco da ridere o celebrare: un patrimonio di giovani e una storia centenaria che svaniscono come le improbabili promesse di Pannella di poter tamponare una falla troppo grande per essere vera.

Nel frattempo la pagina Facebook del Pro Piacenza si anima: sotto ai post compaiono centinaia di messaggi di calciatori dilettanti – veri o presunti – pronti a mettersi sotto contratto per salvare la squadra. Qualcuno scrive dall’Estremo Oriente, altri dall’Africa: un ragazzo si dice disposto a giocare solo per vitto e alloggio vantando anche presenze in formazioni tunisine. Troll o meno nessuno di loro entrerà mai nella sede di via De Longe per firmare un contratto.

La Lega decide finalmente di dire basta: il Pro cessa ufficialmente di esistere lasciando una casella vuota nel suo girone e centinaia di giovani piacentini in cerca di un’altra squadra. Se ne parla poco, poi sempre meno fino ad archiviare la vicenda sotto un velo di oblio. Se ne dovrebbe forse parlare di più considerando le difficoltà economiche della terza serie professionistica italiana: la storia rossonera dovrebbe insegnare qualcosa, ma c’è qualcuno davvero disposto ad ascoltarla?

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