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Il rebus delle società fra sponsor, virus e decreti. Eppure gli studi dicono che lo sport è sicuro

Le nuove decisioni rischiano di rendere la vita ancora più complessa a tutte quelle realtà dilettantistiche che si erano prodigate per applicare protocolli e ripartire in sicurezza

Il DPCM emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri domenica sera non parla di treni, bus e tram ma confonde acque già agitate mettendo un freno allo sport di contatto, ora possibile (soprattutto fra i giovani) solo come allenamento “in forma individuale”. Saltano le gare e le competizioni, anche quelle a carattere “ludico amatoriale”: niente più problema del decimo giocatore per il calcetto del lunedì, ma non è chiaro se il bagher a muro possa considerarsi come forma di allenamento individuale. Tornando tremendamente seri in questo modo si mette (forse) un freno alla salita del contagio ma si rende la vita ancora più complessa a tutte quelle realtà dilettantistiche che si erano prodigate ad applicare protocolli su protocolli per ripartire in sicurezza. Sarebbe forse più coerente considerare il “salto sul bus” come sport di contatto, viste le immagini che ogni mattina si ripropongono in diverse parti del paese.

Non ci si ferma però qui: il DPCM tocca anche palestre e piscine, almeno in prospettiva. Si concede infatti una settimana di tempo per allinearsi ai protocolli di sicurezza sulla base di una mera considerazione – non si comprende se suffragata da evidenza statistica o indagine epidemiologica – circa una gestione non conforme degli stessi su tutto il territorio nazionale. Chiudere tutti per educarne quanti? Inutile ribadire che piscine e palestre non sono fatte soltanto di bilancieri e corsie ma di personal trainer, impiegati e dipendenti più in generale.

Uno studio norvegese del giugno scorso, consultabile su MedRxiv, ha analizzato l’impatto della riapertura di centri sportivi mantenendo tutte le misure attualmente in vigore anche in Italia (un metro di distanza tra gli atleti, pulizia di attrezzi e strumenti, accessi contingentati e vietati a soggetti con sintomatologia covid-compatibile). La ricerca, che ha visto la partecipazione di 1929 donne e 1835 uomini di età compresa tra 20 e 50 anni, ha mostrato come l’impatto delle palestre fosse del tutto irrisorio in relazione alla trasmissione del virus: era infatti stato registrato soltanto un caso di positività al test PCR, caso che in seguito ad indagine epidemiologica non era comunque riferibile all’attività svolta all’interno del centro sportivo di Oslo oggetto di analisi.

Per quanto riguarda le piscine, la Associazione Gestori Impianti Sportivi Italiani (AGISI) ha ribadito la sicurezza degli impianti: “le nuove indicazioni parlano di una concentrazione tra 1 e 1,5 parti per milione di cloro in acqua, ne è sufficiente un terzo (0,5) per eliminare il virus del covid”. Secondo l’AGISI inoltre “per l’evaporazione anche gli ambienti beneficiano della presenza del cloro”.

Non è forse meglio una nuotata in piscina di una vasca in centro a rischio assembramenti?

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