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Martedì, 28 Novembre 2023
Tutti i campioni del mio cuore

Tonino Canevari, grande protagonista di un calcio artigianale ma più umano

Ha regalato la Serie B a Piacenza sia con Molina nel 1969 sia con Fabbri nel 1974, ma spesso doveva fare le nozze con i fichi secchi

Tonino Canevari negli anni Settanta e Ottanta è stato il direttore sportivo per antonomasia. Più di altri ha incarnato la furbizia contadinesca tutta piacentina e l'intuito geniale di chi si è fatto dal niente. In chi scrive il suo ricordo è sempre vivo, una volta mi disse perché non facessi il corso da direttore, eravamo al Balzer in piazza Cavalli (era questo il nome del Caffè Ranuccio, io però continuo ostinatamente a chiamare quel locale Balzer ancora oggi) e lo guardai sorpreso. Aggiunse dicendomi che avevo il portamento giusto, adatto al ruolo. Il mio problema è che sono negato negli affari. Ci risi sopra ma fui contento perché questo complimento arrivava da un uomo che di calcio ne capiva, che era partito nel Dopoguerra dalla Garibaldina (Tonino era nato nel 1929) per giocare poi nel Pro Piacenza, nelle giovanili del Piacenza, nella Safta (l’azienda  di via Arda allora aveva una propria squadra di calcio) e nella Bobbiese. Una volta appese le scarpette al chiodo, aveva intrapreso la carriera di allenatore guidando la Garibaldina, le giovanili del Piacenza, Pontenure e Agazzano. Da giovane alternò il lavoro di funzionario amministrativo all’azienda ospedaliera di via Taverna a quella di dirigente calcistico e via via si impose grazie alla propria professionalità e alla propria competenza in un mondo in cui è molto difficile rimanere a galla, soprattutto se ti muovi a livello professionistico.    

Negli anni in cui Canevari faceva parte dei vertici biancorossi a Piacenza sarebbe potuto arrivare anche Beppe Marotta, ma Tonino sarebbe stato sempre Tonino. Canevari è il direttore sportivo che ha portato a Piacenza i miti del nostro ieri: Zanolla, Gambin, Gottardo, Mola, Stevan, Robbiati, Fiorini e chi più ne ha più ne metta e forse per questo mi lega una sorta di sincero affetto e quando se n’è andato ho avuto la sensazione che fosse definitivamente conclusa un’epoca, quella a cavallo tra l’adolescenza e la prima maturità, quando il talento è una sorta di follia e la vita un viaggio in incognito con se stessi. Ha regalato la serie B alla città, grazie alla presidenza di Luigino Loschi e alla guida tecnica di Tino Molina nel 1969 e di Gibì Fabbri nel 1974, quando i biancorossi navigavano soprattutto in C. I successi più importanti li ha ottenuti proprio come direttore sportivo: dei dieci anni a Piacenza abbiamo detto; poi  due a Parma e Forlì, quattro anni a Mantova e ancora la Spal, il Savona e il Pergocrema. Negli ultimi anni della carriera era stato osservatore per Napoli, Torino e Atalanta.

Negli anni Novanta lo incontravo tutte le mattine in piazza Cavalli sotto i portici del Balzer (“il mio ufficio”, diceva scherzosamente). E' lì, coi giornali sportivi sotto il braccio, era pronto a raccontarti un aneddoto o una curiosità. A ricordare che lui, Fausto Pari allora centrocampista del Piacenza in serie A, l'aveva conosciuto quando giocava ancora nel Bellaria e che il Forlì del mitico presidente Vulcano Bianchi era una grande squadra. Ricordava che il direttore sportivo del Piacenza Gian Piero Marchetti, quando era un ragazzino nelle giovanili dell'Atalanta era timidissimo e che raramente sentivi la sua voce. Tonino è stato tra i primi a scoprire Dario Hubner quando giocava a Crema. Per spiegarne la bravura, non ti diceva che Hubner ha vinto la classifica dei cannonieri in serie A con il Piacenza, ma che il Fano l'acquistò proprio dal Pergocrema e nelle Marche segnò valanghe di gol. Tonino ha traghettato con abilità e con mestiere la navicella di un Piacenza pane e salame ma vicino agli umori della gente. Popolare, borghese e mai snob.

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