Tarquinio Provini: la moto, tanti successi, qualche caduta e molta follia
Due volte campione del mondo, undici volte campione d’Italia dal 1954 al 1965, 20 gran premi vinti prima di un terribile incidente che mise fine alla carriera
L’Emilia Romagna e con essa Piacenza è stata terra di artisti del cacciavite, della chiave inglese e della manetta. Meccanica e raccorderia da sempre sono trainanti. Insieme a storie che vengono da lontano e vanno lontano come quella di Tarquinio Provini (1933-2005), campione di motociclismo nato a Cadeo dove è cresciuto e dove ha vissuto la propria gioventù, che ha fatto negli anni Sessanta con Pasolini e Agostini (un romagnolo e un bergamasco) la storia del motociclismo italiano. Già verso la metà dell’800 c’è nei pressi di Roveleto un Provini “maestro” del ferro battuto e della pinza, superato poi dal figlio Dante, futuro papà di Tarquinio, abile meccanico che passa dalla realizzazione di cancelli per abitazioni e aziende e degli zoccoli per cavalli alla messa a punto dei motori di trattori, trebbiatrici, camion, auto e moto di ogni tipo. Tarquinio, faccia ruvida che sarebbe piaciuta al Visconti di “Rocco e i suoi fratelli”, impara molto presto i primi rudimenti dell’arte del meccanico. A 12 anni rimette in sesto una Dkw abbandonata dai tedeschi a fine guerra. Un sogno per questo ragazzo che giovanissimo sfreccia sulle strade sterrate a ridosso della via Emilia sulle Guzzi, Benelli, Bianchi, Mondial, Norton, AJS dei clienti dell’officina di famiglia e a 16 anni si cimenta con una tuta e un casco militare nella sua prima corsa a Fiorenzuola d’Arda a bordo di un bicimotore Alpino 48. Vince, ma viene squalificato a causa dell’età. Per ottenere la licenza da parte della Fim si iscrive con il nome di suo zio Cesare Provini. E’ con questo nome che vince le sue prime gare “ufficiali” e il titolo nel campionato provinciale.
E’ personaggio suo malgrado Provini, un po’ matto come tutti i motociclisti di allora, innamorato delle moto e della velocità, adrenalinico e di poche parole. Conosce una ragazza, in paese la chiamano la Gelmina, ha occhi splendidi, capiscono entrambi di essere fatti l’uno per l’altra, convolano a nozze; non si lasceranno mai, il loro amore è autentico, come autentica è la passione per le moto da parte di Taquinio, nome importante che risale all’antica Roma, certo che papà Dante quando lo ha registrato all’anagrafe non ha però pensato all’imperatore Tarquinio Prisco ma molto più modestamente al nonno materno. La sua carriera è straordinaria, per la sua spregiudicatezza fa venire in mente Renzo Pasolini che divora i circuiti con la stessa grinta della “Vita spericolata” di Vasco. Due volte Campione del Mondo, undici volte campione d’Italia dal 1954 al 1965 quando il tricolore valeva un mondiale, 20 gran premi vinti, un'infinità di podi e di giri record sulle piste di tutto il mondo: ma titoli, coppe e medaglie non sono in grado di tradurre il valore di un pilota come Tarquinio Provini. Un corridore “speciale” che ha traghettato il motociclismo del dopoguerra all’era di Giacomo Agostini. Tarquinio conosce il cuore del motore, ne svela i segreti, sa come trattarle e in base al rumore capisce cosa si può fare per migliorarne le prestazioni. Ha una passione antica, tra lui e la moto si crea un rapporto simbiotico, empatico, perché questo è nel il Dna di famiglia; lui va oltre e sa coniugare la conoscenza del mezzo meccanico con la capacità di correre in pista.
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