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Gigi Cagni tra grandi imprese ed esoneri

Alla guida del Piacenza il momento clou della carriera con la promozione in Serie A. Poi tante avventure in giro per l'Italia

La testa tra le mani e un groppo in gola. La voglia di piangere e il bisogno di urlare. Tredici giugno 1993. Cosenza. Il Piacenza per la prima volta nella sua storia conquista la promozione in serie A. A guidare i biancorossi è un bresciano dagli occhi di ghiaccio. Gigi Cagni. Testardo, spigoloso, noioso e puntiglioso fino all'inverosimile. Ha la fama di essere un uomo forte, ma in quella domenica dolce come il miele vorrebbe sciogliersi, non ci riesce. Ha la tensione incollata addosso. In tre stagioni ottiene due promozioni, la prima in serie B e la seconda in A. Taibi, Polonia, Broschi / Suppa, Maccoppi, Lucci / Turrini Papais, De Vitis, Moretti, Piovani. Questa formazione è ancora oggi una sorta di filastrocca da ripetere a figli e ai nipoti. E lui, Cagni? “L'é semper lù” direbbe Dario Fo. Fa grande il Piacenza. Ci mette del suo. Controcorrente e coerente fino alla noia, crede solo ed unicamente nel suo lavoro, Cagni nutre una sorta di venerazione per il presidente Leonardo Garilli. Ha ragione. Nel 1994, quando i biancorossi retrocedono in B per una discussa quanto improbabile sconfitta interna del Milan ad opera della Reggiana, la prima cosa che fa l'Ingegnere è quella di telefonare al tecnico biancorosso: “Stia tranquillo. Non si lasci andare, io non mollo, voglio risalire, tra un anno il Piacenza sarà in serie A”. Già, proprio così. E quando qualche anno dopo racconterà questo particolare, Cagni avrà ancora gli occhi lucidi.

Sa di avere dato tanto al Piacenza ma è anche consapevole di avere avuto molto dai piacentini. Nessun altro allenatore riscuote tanti consensi. Piacciono in lui la risolutezza e la serietà. Vive di calcio. Non molla mai. Anche nei momenti più difficili la città è dalla sua parte. Come i giocatori, del resto: “Crediamo nel suo progetto, i suoi difetti passano in secondo piano”, dirà il centrocampista Giorgio Papais a un cronista. Il progetto e il gruppo sono la stessa cosa. Resta a Piacenza sei stagioni e lascia nel 1996 per trovare nuovi stimoli. Potrebbe essere l'Inter oppure il Napoli, invece il suo approdo è a Verona dove resta due stagioni ma non ha la fortuna dalla sua e retrocede in B. Sfiora il miracolo, sempre in B, con la Salernitana (1999-2000) e poi sulla sua strada troverà Genoa (1998-99) e Sampdoria (2000-2001). Per un bresciano come lui, che ha il sole in piazza rare volte e il resto è pioggia che lo bagna, Genova è più di un'idea (cit.). E' una bellissima realtà. Il mare e il sole e infatti vi si trasferisce definitivamente, anche se il suo sogno calcistico sarebbe quello di riabbracciare il Piacenza, ma come tanti nel calcio Gigi Cagni teme i ritorni. Sbaglia e se ne pente quando risponde picche al diesse Marchetti che lo vorrebbe ancora in biancorosso nel 1998. Piacenza rappresenta per lui la splendida metafora di una vita che si illumina e nel 2003 ritorna, non resiste al richiamo dal presidente Fabrizio Garilli perché Andrea Agostinelli, tecnico in carica, non sembra essere in grado di salvare i biancorossi dalla retrocessione in serie B. Neppure Cagni riesce nell’intento pur dando carattere e stimoli a una squadra che sembra essere stata costruita per retrocedere.

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