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Mercoledì, 27 Settembre 2023
Tutti i campioni del mio cuore

Enzo Boiardi e una maratona leggendaria lunga 24 ore

Nel 1971 l'atleta piacentino corse allo stadio Galleana percorrendo senza mai fermarsi 211 chilometri

C’ero anch’io allo stadio della Galleana la sera del 16 ottobre 1971 per assistere a un’impresa unica che mi riporta all’adolescenza ma soprattutto mi fa tornare in mente certe pazzie di Buffalo Bill quando tenta di superare con il proprio cavallo una locomotiva che sfreccia lungo le ferrovie del West o Francesco Moser quando a Città del Messico batte in altura il record dell’ora, pedalando a oltre sessanta chilometri orari. L’impresa di cui ricordo è stata invece opera di un piacentino schivo ed introverso, Enzo Boiardi, operaio con la corsa nel cuore, umile e affamato di gloria che tra il 16 e 17 ottobre del 1971 all’età di 35 anni, mise in atto un capolavoro di cui abbiamo perduto la memoria e a cui oggi stentiamo a credere: percorse di corsa 529 giri del campo d’atletica, vale a dire 211 chilometri e 831 metri, in 24 ore. Un record che lo consegnò alla storia, perché è come se quella notte Enzo Boiardi si fosse recato a Trento a piedi. Fate un po’ voi. Erano altri tempi, il marketing e la comunicazione erano poca cosa rispetto alla grandezza delle imprese e non le anticipavano con la spinta necessaria come invece succede oggi.

Di fatto di questo record nel tempo si è parlato sempre meno ma non per questo non fu un capolavoro di sport, volontà, applicazione e passione. Enzo era un uomo di poche parole, per mesi aveva preparato quell’impresa in solitudine, circondato da pochi amici e quando in quella notte d’ottobre con la temperatura che sfiorava gli zero gradi e i fari dello stadio accesi fino all’alba, per dar modo a quell’uomo magro e alto un metro e ottanta, di conquistare un record che profuma di tempo andato e di storia, rimanemmo tutti senza parole. Nei palazzi circostanti la curiosità andò avanti per un po’ poi le luci si spensero e la notte fu tutta sua, come una magia, un viaggio senza ritorno, qualcosa che profuma di storia. In tanti ci chiedemmo come avesse potuto.

Boiardi come abbiamo accennato, di mestiere faceva l’operaio. Ma la grande passione per l'atletica lo portava a correre sui pendii dell’Appennino, vicino a Roncovero di Bettola dove ha vissuto insieme alla moglie Franca fino all’aprile del 2022 quando è venuto a mancare. Ammirava il cecoslovacco Emil Zatotek, la locomotiva umana. Seguiva le imprese di Pino Dordoni, tra i più grandi interpreti della marcia italiana e suo concittadino. Ma i muscoli di Enzo Boiardi fremevano per imprese quasi titaniche.

E quell’impresa fu davvero unica, preparata con dovizia di particolari senza smettere con il lavoro. Dicono che si fosse iscritto a una società per avere un allenatore e che tutto ebbe inizio come autodidatta perché a quei tempi, in quel lontano 1971, fare sport agonistico non era da tutti e soprattutto non era una cosa semplice. E poi tanta “Vita agra” citando il Poeta, perché tutto sommato Boiardi per preparare quell’impresa fece tantissimi sacrifici, inimmaginabili oggi. Sveglia presto alla mattina, lavoro, pranzo, un breve riposo e poi chilometri su chilometri. Venticinque almeno ogni giorno, percorsi sulle colline. Dalla sua, la struttura fisica particolarmente adatta a correre lunghe distanze. Disse il figlio Roberto in un’intervista al Corriere della Sera di qualche anno fa: “Pensi a un uomo di 70 chili e longilineo. Intorno ai trent’anni, scoprì di essere un diesel assoluto, uno che non provava fatica a correre per ore. Non aveva segreti alimentari. Tant’è che, prima della sua impresa, ha avuto una dieta totalmente sbilanciata in senso proteico: una minestrina, una bistecca e una pera. Sembra quasi impossibile, ma è andato avanti a correre per 24 ore alimentato a tè zuccherato e pane. Il suo segreto era la voglia di dimostrare che valeva qualcosa, una medicina psicologica, supportata da una volontà ferrea”.

Il 17 ottobre 1971, alle 14, Enzo tagliò il traguardo. Giunse alla meta con cinque chili in meno, un ginocchio gonfio e un fortissimo dolore tant’è che fu costretto a togliersi le scarpette e sostituirle con un paio di pantofole realizzate dalla moglie Franca. Il risultato fu omologato dai giudici di gara della Fidal, la Federazione italiana di atletica leggera. L’impresa rimase imbattuta per un paio di anni. A ripensarci oggi, che le conoscenze e le competenze sportive e i supporti tecnici sono ben altri, quell’impresa  fu ancor più grandiosa. All’epoca apparve inumana, impossibile e quel primato italiano entrò nella storia di un uomo che aveva vissuto la maggior parte del tempo una vita operaia.

Quel giorno la voce dell’impresa di Boiardi, complice “Liberta”, si sparse in città; la mattina del 17 ottobre in tanti erano assiepati sulle tribune a osservare quell’uomo che aveva passato la notte a correre, con un ritmo cadenzato, tra i controlli medici e la voglia di battere il record del mondo. Non ci riuscì Enzo Boiardi, ma regalò alla sua città una storia che ancora oggi pare impossibile. Quell’eccellere nello sport era un elemento di riscatto sociale perché Boiardi, dopo avere fatto l’operaio, ha svolto l’attività di netturbino, poi è riuscito a prendere la licenza media ed è diventato dipendente amministrativo. Ha fatto di tutto per cambiare il proprio destino, segnato dalla povertà e dalla miseria degli anni del Dopoguerra. Sull’Appennino veniva indicato come lo Strano. In realtà, correva perché detestava il bar, le carte, le giornate vuote a parlare di tutto e di niente. Preferiva di gran lunga macinare chilometri e leggere la “Gazzetta”. Guardava con grande interesse i campioni di allora. Il suo sogno erano le grandi imprese, le corse impossibili, il bisogno di emergere perché lo sport, quello povero, che richiedeva gambe e fiato, era l’unico che potesse permettersi. E si prese in quell’ottobre tanto lontano, una soddisfazione che meriterebbe maggiore attenzione.

I figli Roberto e Fabrizio hanno ereditato dal padre la passione per l’atletica. Velocista il primo, specializzato nei 400 metri il secondo. Enzo, invece, era uno che andava forte sulle lunghe distanze, dai 10mila passò alla maratona e, non pienamente soddisfatto, ai 100 chilometri. Quando anche quella distanza gli parve insignificante decise di sfidare se stesso in quelle 24 ore consecutive. Il resto è storia, non solo storia di un uomo, di una città ma una storia di vita e di un’epoca in cui il coraggio s’impastava con il desiderio di successo, di gloria conquistata a fatica, roba da rodeo, da corrida, da miti che tali resteranno perché ci sarà sempre qualcuno un giorno che racconterà che nel 1971 un certo Boiardi corse 24 ore di seguito e percorse 211 chilometri senza mai fermarsi. Da autentico eroe.

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