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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Le nuove guerre del calcio: il nuovo libro di Marco Bellinazzo

Gli affari delle corporation e la rivolta dei tifosi nell'opera del giornalista de Il Sole 24 Ore

Marco Bellinazzo, giornalista de “Il Sole 24Ore” e autore di libri di rilievo che sono oggi materia di studio quali “I veri padroni del calcio” (2017) e “La fine del calcio italiano” (2018) ha pubblicato recentemente un nuovo volume, “Le nuove guerre del calcio” (Feltrinelli), ben scritto e caratterizzato da una veduta ampia e documentata sul futuro che aiuta a comprendere i possibili scenari del calcio nei prossimi anni e la globalizzazione anomala che caratterizza questo sport.

Fino alla pandemia il mondo del pallone aveva superato tutte le crisi: dallo scoppio della New Economy alla bolla Lehman Brothers, aveva inoltre incrementato il proprio giro di affari e l’espansione nei mercati internazionali, e questo sviluppo esponenziale ha prodotto vinti e vincitori con diseguaglianze sempre più marcate tant’è che la prima grande recessione iniziata proprio con il Covid ha reso il calcio estremamente vulnerabile e si pensi in proposito al danno arrecato dalla chiusura degli stadi. Al tempo stesso però il calcio – secondo Bellinazzo – è diventato terra di conquista da parte di fondi di investimento, imprese di telecomunicazione, giganti del web, senza dimenticare sedicenti dittatori di Paesi (Qatar, Arabia Saudita, ecc.) che cercano di mettere le mani sul mondo del pallone per avere consenso e riconoscimenti: “Il rischio – ha spiegato Bellinazzo in un’intervista a Mediaset – è che finisca quel fenomeno sociale e culturale che abbiamo conosciuto per tutto il secolo scorso. La trasformazione di un evento agonistico in un semplice intrattenimento, relegando il calcio a diventare una specie di gioco da playstation. Ma se parliamo di un calcio virtuale ai ragazzi interessa più giocarci con il joystick piuttosto che andare allo stadio. Questo spiega la disaffezione dei giovani nei confronti di questo sport”.

Un tema interessante e che impone riflessioni: secondo l’autore bisognerebbe ripartire dall’azionariato popolare e in tal senso cita alcuni esempi, dalla Germania alla Spagna fino al Sud America. Club, tifosi e aziende di un unico territorio alleate. Afferma: “Questo sentimento di territorialità del calcio ancora esiste e spiega la rivolta contro la Superlega. Ma la piaga del calcio business si sta espandendo” perché sono almeno 200 i club in mano a multiproprietà. “Si tratta di holding – aggiunge Bellinazzo – che vorrebbero trasformare le squadre in laboratori di giocatori per poi creare plusvalenze. Negli Stati Uniti, invece, le leghe professionistiche sono strutturate in modo che i grandi club aiutino i più piccoli per rendere tutti competitivi. Come dire che i tifosi esistono fino a che c’è la possibilità che le loro squadre siano competitive e in qualche misura vincenti”.

Il calcio come un videogioco oppure come espressione di campanile? Il rischio, palese, è quello che la “grande macchina” sia incentrata più sul mondo virtuale che su quello reale e per milioni di tifosi e di ragazzi che praticano questo sport sarebbe davvero la fine di un sogno perché un calcio da grande schermo o da telefonino arricchirebbe soltanto le holding del settore e impoverirebbe vivai e settori giovanili. La ricetta ideale sarebbe un calcio più sostenibile  e meno tecnocratico, più Maradona e Paolo Rossi per intenderci, campioni inseriti in un contesto territoriale e più umano. Sara possibile?

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