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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Gli italiani al Tour de France: da Bottecchia a Nibali per narrare il mito

Il libro di Giacomo Pellizzari ripercorre i trionfi di Bartali, Coppi, Nencini, Gimondi, Pantani e anche le imprese mancate di tanti altri grandi protagonisti

Ricordo, ricordo benissimo. Settembre di alcuni anni fa, immagino fosse il 2014. Al tavolino del Bar Italia con Gianni Mura che di lì a poco avrebbe presentato il suo nuovo libro “Ischia” da Biffi Arte in via Chiapponi. Non era la prima volta che ci vedevamo, ormai tra noi c’era una certa familiarità, gli chiesi se si fosse mai laureato. “Sai – mi rispose – a vent’anni frequentavo la Statale di Milano e stavo preparando un esame di filologia italiana, scrivevo e collaboravo per alcuni quotidiani quando mi proposero di seguire il Tour de France. Non ci pensai un attimo e seguii per la prima volta, giovanissimo, l’evento più importante dal punto di vista sportivo dopo i mondiali di calcio e le Olimpiadi. Non terminai mai più l’università ma in compenso ho collezionato una ventina di Tour”. Rimasi stupito da quella risposta e proprio da una delle conversazioni con uno dei più grandi maestri di giornalismo che mi viene in mente un gran bel libro sulle Grande Boucle, scritto da Giacomo Pellizzari, “Gli italiani al Tour de France” (Utet, 2018).

Perché questo libro, perché in questi giorni interminabili di luglio con il caldo africano che mette alle corde, seguire in tivù i tapponi del Tour in questi pomeriggi oziosi e gonfi di noia, rappresenta un diversivo non da poco ed è facile tuffarsi nella storia di questa spedizione in terra straniera, dove i paesaggi, le montagne, i panorami e il cibo sono completamente diversi. Dove molti ciclisti italiani hanno fatto la storia di una corsa spesso sciovinista e francofona, che racchiude “l’amour fou” dei francesi verso la loro terra. Il tour è una banco di prova spietato per tutti gli atleti, per gli italiani oltre ad essere un banco di prova rappresenta una corsa ad ostacoli. Paolo Conte in una sua canzone, “Bartali”, in un verso rende l’idea quando scrive che “i francesi ancor s’incazzano…”, anche se Pellizzari nel suo libro sostiene che in terra d’Oltralpe sanno riconoscere più che altrove i campioni autentici. Ed allora il libro è una storia ricca di suggestioni in cui viene sottolineato che anche un solo giorno in maglia gialla può cambiare la carriera di un ciclista, ed è vero. Nel racconto di Giacomo Pellizzari sono proprio i ciclisti, gli Italiani al Tour che prendono la parola per narrare le imprese di cui sono stati protagonisti, da Ottavio Bottecchia a Vincenzo Nibali e la sua cavalcata trionfale sul pavé della foresta di Arenberg; il primo e l’ultimo italiano italiano a vincere il Giro di Francia. Bottecchia invece si affermò quando il Tour non era soltanto una gara a tappe ma un massacrante inferno sui pedali. Non solo, questo atleta fuori da ogni schema fu anche il solo, nella storia di questa corsa, a indossare la maglia gialla dalla prima all’ultima tappa e l’unico italiano ad aver vinto due Tour consecutivi, nel 1924 e nel 1925.

Il libro racchiude tutte le imprese riuscite, da Bartali che vinse nel 1948 quando in Italia il rischio della guerra civile era dietro l’angolo dopo l’attentato al leader del Pci, Palmiro Togliatti a Fausto Coppi un mito anche per i francesi. E ancora, Gastone Nencini, Felice Gimondi che nel 1965 a soli 22 anni sbaragliò avversari del calibro di Anquetil, Poulidor e tanti altri blasonati campioni delle due ruote e infine Marco Pantani, il Pirata le cui scalate ricordavano quelle di Coppi: i successi per distacco sul Mont Ventoux e tanto altro. Ma anche i protagonisti di imprese mancate come Fiorenzo Magni, Claudio Chiappucci, Gianni Bugno e la tragica fine di Fabio Casertelli che muore a seguito di una caduta nella discesa dal Portet d’Aspet. Concludendo vengono in mente le parole scritte dal filosofo Roland Barthes negli anni Cinquanta: “Le salite del Tour sono maligne, ridotte a “percentuali” aspre e a volte mortali”.

        

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