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Gibì Fabbri, una vita di bel calcio: la storia dell’allenatore che trasformò Piacenza nella Grande Olanda

Con lui in panchina i biancorossi vennero promossi in Serie B giocando in modo spettacolare e ultra offensivo

Il libro è una canzone senza fine. Paolo Rossi, il meglio del pallone targato anni Ottanta, fu lanciato e formato da Fabbri, lo invitava a caccia o a cena una settimana sì e l'altra pure, come tanti altri suoi adepti del resto. Pane fatto in casa, salame, vino buono, i fagiani o la lepre del giorno. Anche questo era Gibì Fabbri. Un uomo che si era fatto tutto da solo, con l'aiuto di Irene, una moglie splendida.

Fabbri è di tutto e di più. Proprio come il piacere di scrivere questa recensione che è poi un tuffo nel passato. Ed è consolatorio, ancora oggi leggere in un volume le testimonianze di coloro che Gibì ha fatto grandi: Giancarlo Marocchi, Adelio Moro, Giorgio Carrera, ma anche Capello, Bagnoli, l’Ascoli e il vulcanico presidente Rozzi, il Bologna di Gino Corioni, il Piacenza e i tanti, tantissimi giocatori che da lui hanno appreso i fondamentali di un calcio nuovo. Puro, ma maledettamente straordinario.

C’è poi Piacenza, sì quel Piacenza tanto lontano ma sempre più nel mito. Già, perché proprio sulla scia di quell’amore calcistico per l’Olanda di Crujff da ragazzo ho rincorso, con una passione tutta mia, la piccola Olanda nata qui. Nel 1974, Gibì Fabbri ci ha regalato una stagione dorata seppure effimera per il calcio. Emergono da questo libro i ricordi virati a seppia di un periodo lontano per la mia generazione, che non ha dissipato i propri poeti, ma ha gioito per le imprese degli eroi vestiti di biancorosso. Dopo anni di calcio all'italiana, Gibì apre le porte al calcio totale. S’ispira all'Olanda dei miei sogni. Chi l'ha detto che il libero deve stare dietro e che i terzini non possono avanzare? E Gibì? Diventa amico di tutti noi. E' un santone, un guru, l'allenatore che fa divertire un'intera città.

Ricordo Bruno Zanolla. Giugno 1975. C'è Piacenza-Belluno, ultima partita di campionato. Gioca, realizza tre gol e si conferma capocannoniere. Il Piacenza ottiene la promozione in serie B. Zanolla va in rete 23 volte in 38 partite. Un record. Gli anni si sovrappongono e il passato riaffiora come un reperto di un'archeologia calcistica da conservare e non da bruciare in pochi istanti. I Settanta del nostro calcio appaiono lontani, forse troppo, ma alcuni protagonisti di allora sono oggi impressi nella mente di chi c'era. Bruno Zanolla, una sola stagione e tanto affetto da parte del pubblico piacentino. E’ genialità allo stato puro, ha senso del gol come pochi in serie C è in grado di fare la differenza. Friulano di Ruda in provincia di Udine, appartiene alla forte schiatta dei bisiaci, come i più illustri Fabio Capello e Bruno Pizzul. Nel 1974 approda al Piacenza. Il presidente Luigi Loschi vuole la B a tutti i costi, ingaggia Gibì Fabbri, che a sua volta vuole Zanolla. Una stagione indimenticabile e lui, il grande Bruno, ad incantare i tifosi con le sue giocate. E' un centravanti classico, maglia numero nove, ha piedi buoni e quando gli capita l'occasione non la sbaglia. Sul campo l'intesa con Gambin e Gottardo è perfetta. E fioccano i successi. E' una squadra, quella biancorossa, che appartiene alla gente. Alla domenica lo stadio è gremito. Per la prima volta, dopo anni di delusioni, sembra concreta la possibilità di costruire qualcosa di importante. Con Gibì è calcio champagne, all'olandese per intenderci. In Italia il calcio totale è ancora lontano. Piacenza da questo punto di vista è l'isola non trovata. Tutti in avanti e tutti indietro, quando è il caso. Un po' come nel basket. Quando si sparge la notizia che Bruno Zanolla a fine stagione potrebbe lasciare per andarsene altrove, a me viene il groppo alla gola.

Accanto a Zanolla, Natalino Gottardo. Fa parte dell'attacco meraviglia della promozione in serie B nella stagione 1974-75. Da sinistra a destra li rivedo immutati nel tempo: Gabriele Valentini, Beppe Regali, Bruno Zanolla, Giorgio Gambin e Natalino Gottardo. Moschettieri che hanno abilità e mestiere. Scegliere è difficile. Ogni squadra oggi vorrebbe avere il potenziale espresso in quegli anni dai magnifici cinque dal cuore biancorosso. Di questi, uno solo ha messo casa qui: Natalino Gottardo. Lui è rimasto. Ha scelto Piacenza. Un'ala dai piedi buoni. Puntava gli avversari per poi saltarli regolarmente attraverso una finta o una torsione, un colpo di tacco o un allungo. Veloce, sornione, era in grado di cambiare passo all'intero reparto offensivo. Un giocatore che avrebbe meritato di più. Molto di più. Oggi per molto meno ci si ritrova in serie A. Quando venne a mancare qualche anno fa, pensai che Piacenza dovesse gli molto.

Ho riletto il libro in poche ore, divorando pagina su pagina, ritrovando personaggi e protagonisti di ieri. Tra i quali, ad esempio, Pippo Filippi, (lo ricordate?) un brevilineo dimenticato per anni nelle radure della serie C. Gibì lo vide e decise che sarebbe stato il motore del suo Vicenza. Ebbe ragione. Ma queste sono storie di ieri.

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