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Felice Gimondi, quando il ciclismo si fa storia

Il grande campione delle due ruote in una biografia dal titolo “Da me in poi”

Una vita di soddisfazioni grandi: “Porto con me tante cose belle grazie al ciclismo – aggiunse – dal giorno del mio matrimonio alla nascita delle mie due figlie. Quando vinsi il Tour a soli 22 anni e smisi di aiutare mia madre Angela a consegnare la posta in bici. Ma ricordo con grande gioia anche quando vinsi il mio terzo Giro d’Italia a quasi 34 anni, senza trascurare il titolo mondiale dopo un lungo faccia a faccia proprio con Merckx. Quando lo conobbi diversi anni prima – proseguì – fu un impatto cruento anche dal punto di vista psicologico. Dal 1965 al 1967 ero stato io il Cannibale, poi arrivò la cronometro del Giro di Catalogna: persi per 33” e mi crollò il mondo addosso. Impiegai due anni per farmene una ragione, poi compresi perché aveva vinto: era il più forte. Ma i momenti più difficili furono anche il caso del presunto doping di cui venni accusato e successivamente prosciolto, alla fine del 1968 che fortunatamente finì in una bolla di sapone”.

Ricordi lontani: “La morte di Tom Simpson – spiegò – è ancora oggi un buco nero. Quando nella salita del Mont Ventoux, in una giornata eccezionalmente calda, andò in crisi e si fermò, per poi proseguire anche per l’incitamento del pubblico nessuno di noi si aspettava che dopo pochi minuti avrebbe avuto un collasso cardiaco e che tutti i tentativi di rianimarlo sarebbero stati inutili. Fu un dramma, ma credo anche che quella di Tom sia stata la prima morte di doping. Infatti in base ai risultati dell’autopsia, concause della morte furono le anfetamine assunte”. Infine il mondiale vinto a Barcellona nel 1973: “Quel giorno ho capito che quando ti capita l’occasione non puoi permetterti di non farti trovare pronto. Sul circuito del Montjuic ho fatto un capolavoro. Due belgi da battere: Merckx e il giovane Maertens, oltretutto coalizzati per farmi fuori. Nel finale mi accorsi che Eddy non pedalava benissimo. In volata mi giocai alla grande l’occasione della vita. Andò bene”. Quando seppi della sua scomparsa mi ritrovai addosso una vita. Infanzia, adolescenza e prima maturità. Soprattutto, però, capii quanto fosse bello il mio mestiere: incontrare persone grandi che sanno essere umili e che ti mettono a loro agio, proprio come Felice quella sera. Scusate, forse ho divagato, ma il libro è da leggere.

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