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Storia, fango e gloria: è il Museo del Rugby

Si aprono le porte e si schiudono le emozioni. Entrati nel salone principale si ha la sensazione di respirare il profumo dell'erba, quella mangiata dai piloni quando crolla la mischia. Davanti c'è la storia mondiale del rugby e non si può rimanere...

Si aprono le porte e si schiudono le emozioni. Entrati nel salone principale si ha la sensazione di respirare il profumo dell'erba, quella mangiata dai piloni quando crolla la mischia. Davanti c'è la storia mondiale del rugby e non si può rimanere impassibili nell'ammirare 500 diverse maglie da gioco che raccontano la storia di questo sport. «Altre 150 le abbiamo ancora imballate, non c'è abbastanza spazio per metterle in mostra» ci dice Vittorio Schiavi, presidente dell'Old Rugby, che ha organizzato la mostra insieme a Corrado Mattoccia, che del museo è il presidente con la Fondazione Fango e Sudore. Resterà a Palazzo Gotico fino al 29 novembre, i giorni per visitarla sono il martedì, giovedì, venerdì e sabato dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18.30. Ingresso gratuito.

STORIA - Bastano pochi passi per essere travolti dalla storia, quella vera, quella che conta. C'è la prima casacca azzurra indossata da Giovanni Dora nell'esordio assoluto del 1929. Era il 20 maggio, stadio di Barcellona gremito da oltre 80mila spettatori; vinse la Spagna 9 a 0 davanti al Re Juan Carlos. Maglia bellissima, di un azzurro sbiadito col fascio littorio accanto al tricolore, soprattutto cimelio prezioso donato da Stefano Mor, nipote del centro bresciano, alla fondazione. Accanto c'è un'altra maglia che trasuda storia, più recente perché è del 1997, ma altrettanto importante. E' la casacca di Andrea Castellani, in campo a Grenoble in quel famoso 22 marzo quanto l'Italia si guadagnò l'accesso a quello che oggi è il 6Nazioni, il torneo più antico del mondo. Fu la partita perfetta, gli azzurri affrontavano la Francia, fresca vincitrice (e imbattuta) del 5Nazioni, nella finale di Coppa Europa. La partita doveva essere senza storia, come assaltare un carro armato con le fionde, ma il XV italiano allenato da George Costa in cui c'era anche il nostro Carlo Orlandi, insieme a Castellani, Domiguez e Troncon, riuscì a superare i transalpini 40 a 32. Una vittoria che fece epoca perché il board del 5Nazioni decise che era giunta l'ora di aprire il torneo a una sesta nazionale: l'Italia. Iniziarono nel 1883 le quattro britanniche, nel 1910 entrò la Francia e il 2000 diventò il nostro anno.

PIONIERI - Nella prima Italia del 1929 c'erano anche i fratelli Vinci; Eugenio, Paolo, Francesco e Piero che hanno una sezione dedicata a loro. Pionieri dell'Italia ovale e fondatori delle due squadre storiche della capitale, Lazio e Roma. C'è una foto di Piero Vinci, morto nel 1985, che lo ritrae col presidente JFK perché il rugby è uno sport fatto prima di tutto da grandi uomini, e oltre alla palla ovale Piero è ricordato per essere stato ambasciatore italiano a Mosca e rappresentante permanente dell'Italia alle Nazioni Unite a New York tra il 1964 e il 1973. Vicino alla teca in legno che protegge questa storia c'è la maglia azzurra del piacentino Gigi Savoia, a lui va il merito di aver fatto conoscere il rugby italiano al resto del mondo, CT dell'Italrugby durante la prima tournée in Sudafrica nel 1973.

EPICA E CINEMA - Maglie leggendarie, che hanno ispirato il cinema. Conservata nell'ala dedicata ai club c'è quella dell'Old Christians Club (1972) la formazione coinvolta nel tragico incidente sulle Ande in cui morirono 29 persone. Una disgrazia che passò alla storia per lo spirito di sopravvivenza di alcuni giocatori, si schiantarono il 13 ottobre a 5mila metri di quota e furono tratti in salvo alla vigilia di Natale dello stesso anno. Sul fatto hanno girato un film, "Alive-Sopravvissuti" ed è ricordato perché, oltre al viaggio estremo intrapreso da alcuni ragazzi per andare in cerca di aiuto, si verificarono fenomeni di cannibalismo sui cadaveri dei loro compagni morti nell'impatto. Fu rotto un tabù per lo spirito di sopravvivenza che c'è in ogni uomo. Poco più in là, la maglia della nazionale Sudafricana che vinse in casa la Coppa del Mondo nel 1995. Da pochi giorni si era insidiato al governo Nelson Mandela e chiese al capitano François Pienaar di vincere quel trofeo, l'odio tra bianchi e neri successivo alla caduta dell'apartheid era ancora vivo e fresco. La squadra non era seguita dai neri perché rappresentava la "ricchezza e il potere dei bianchi", quel XV vinse la coppa contro gli All Blacks e la vittoria - come spesso e volentieri accade nello sport - ebbe un valore che andò ben oltre ai confini della gloria. Riavvicinò veramente le due popolazioni e il Sudafrica ottenne tutto ciò da sfavorito. Era scritto così.

GRANDI CLUB E GRANDI GIOCATORI - Mauro Bergamasco, tra i fondatori del museo, ha visitato l'esposizione in anteprima e lui è solo uno dei campioni presenti. Per Mauro c'è una sezione apposta, con la maglietta della sua partecipazione alla convocazione dei Barbarians. Maglia, calzettoni, divisa d'ordinanza e cravatta per questo strano club nato nel 1890 a Bradford, che va solo a inviti, solo i migliori sono convocati ma con una particolarità: i calzettoni sono della squadra di provenienza. E Mauro nella sua partita indossò quelli del Salvezzano, la squadra veneta dove mosse i primi passi. C'è quella del trequarti Jonah Lomu, talento neozelandese che dovette smettere di giocare a causa di un trapianto di rene e che non tornò mai agli eccezionali livelli di prima (con due edizioni di Coppa del Mondo è il miglior marcatore di sempre), dell'inglese Jonny Wilkinson, sul tetto del mondo nel 2003, e di Nick Farr Jones altra stella, campione tra i campioni. Ci sono le divise della Francia, dove il rugby è una religione, quelle dell'Irlanda, in grado di riunire sotto un'unica divisa due nazioni: Eire e Irlanda del Nord.

CUORE - Museo splendido, con centinaia di storie epiche, leggendarie e che a volte hanno addirittura avuto un'influenza sociopolitica. La mostra si chiude con la maglia del pilone Lorenzo Sebastiani, morto sotto le macerie della sua abitazione la sera del sisma che nel 2009 colpì L'Aquila. La sua maglietta ora è stata ritirata, al posto dell'1 nella formazione abruzzese gioca il 99, perché l'1 è cucito sul petto di tutte le altre. Chiunque l'indossi ce l'avrà sul cuore. Questo è il rugby.

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