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Pighi: «PalaBanca di proprietà e investiamo sui giovani»

La sintesi del pensiero di Roberto Pighi sta nelle ultime due frasi che arrivano al termine di una lunga chiacchierata. «Gli imprenditori sono fatti anche per restituire alla città quello che hanno ricevuto. All’estero lo sanno bene...


La sintesi del pensiero di Roberto Pighi sta nelle ultime due frasi che arrivano al termine di una lunga chiacchierata. «Gli imprenditori sono fatti anche per restituire alla città quello che hanno ricevuto. All’estero lo sanno bene, a Piacenza se lo ricordano quando vogliono». Poi a microfoni spenti va oltre: «I successi che ho ottenuto da imprenditore sono la somma delle mie capacità ma anche di collaboratori di altissimo livello, di impiegati e di operai validissimi». Messaggio chiaro anche per il mondo calcistico e pallavolistico: se si punta in alto il gioco di squadra è fondamentale. Quello che è mancato nel suo primo tentativo di ingresso nel mondo dello sport, quando la possibile fusione Pro Piacenza-Piacenza, che lo vedeva come punto di riferimento, abortì nonostante basi gettate nel terreno fertile.
Giacca chiara, doppio paio di occhiali, voce profonda da attore, il nuovo amministratore delegato biancorosso non si nasconde: «Probabilmente questo mio ingresso nello sport scopre il narcisismo che c’è in me». E’ uomo concreto Roberto Pighi, che porta nella pallavolo con l’Lpr e nel calcio con il Fiorenzuola la sua esperienza di imprenditore. Ci sono risultati da raggiungere e allora si parla di un PalaBanca che deve diventare di proprietà della società biancorossa e di un settore giovanile sul quale investire, puntando sull’allargamento della compagine societaria («vogliamo coinvolgere altri piacentini») e su possibili sponsor internazionali. In breve, tutto quello che Piacenza fino a qualche settimana fa poteva solamente sognare.

Con l’Lpr avete fatto tutto di corsa perché i tempi erano strettissimi, annunciando l’accordo prima ancora che arrivassero le firme dal notaio. Adesso si sta rendendo conto dell’importanza che ha per Piacenza la vostra operazione?
«L’ho capito il giorno stesso della conferenza stampa, quando non c’era ancora nero su bianco. Ho visto un grande entusiasmo attorno a questa resurrezione, perché possiamo davvero dire di aver tolto un morto dalla bara. Ora abbiamo una società gestita da persone serie, capaci e forti finanziariamente; la squadra non potrà essere di primissimo livello già da questo campionato, ma potremo comunque toglierci fin da subito delle belle soddisfazioni. Nel frattempo siamo riusciti a dare continuità a una realtà storica, troppo importante per il territorio. In tanti hanno detto di volerci aiutare e mi aspetto che tutti, compresa la pubblica amministrazione, rispettino gli accordi presi verbalmente».

In questi giorni sono state più le persone da cui ha ricevuto complimenti o quelle che le hanno chiesto chi glielo ha fatto fare?
«Se escludiamo i familiari e gli amici, molti dei quali hanno detto “chi te lo ha fatto fare”, ho ricevuto molti complimenti perché il volley è uno sport molto popolare. Vuole un esempio? La sera vado a bere il caffè in piazza Cavalli e da quando sono entrato nel volley per me è sempre pagato».

Da qualche tempo è vicepresidente del Fiorenzuola calcio, dove era stato preceduto dai suoi fratelli, ma cosa l’ha convinta a diventare socio della squadra di pallavolo?
«Non è stato un passo studiato o pianificato. Mi hanno contattato gli amministratori e subito ho creduto in un progetto che garantisce ritorni mediatici oltre a sinergie con Molinaroli per le mie nuove attività. Ma soprattutto a dare entusiasmo è stato l’ingresso nella compagine di altri grandi imprenditori come la famiglia Arici. In questo modo generosità e disponibilità finanziaria si sono trasformati in un asset societario molto più solido e articolato. Questo ci permetterà di ricostituire un nostro settore giovanile; anche se dovremo aumentare i costi di gestione non è possibile che una società così importante deleghi il proprio futuro ad altre realtà. E se sarà possibile vogliamo anche ad acquisire il PalaBanca, nell’ottica di una compagine che non punta più solo sugli sponsor ma sul contributo di soci direttamente coinvolti».

In percentuale nello sport quanto contano i soldi e quanto le competenze?
«E’ una risposta complessa: a livello dilettantistico contano molto di più le disponibilità finanziarie, quando si arriva al professionismo sono necessarie entrambe».

Si sa che per i tempi tecnici non riuscirete a costruire una squadra da primissimi posti. Non c’è il rischio che nel corso di un’intera stagione l’entusiasmo attuale vada scemando?
«Sarebbe una grande delusione. Tante persone hanno compreso che il nostro gesto andava innanzitutto nella direzione di salvare il volley, quindi chiedo di lasciarci lavorare almeno un paio d’anni prima di giudicarci. Comunque l’affluenza del pubblico è determinante, sarebbe un peccato che dopo aver trovato persone serie in grado di creare un progetto a lungo termine i tifosi diminuiscano. Un eventuale anno di media classifica, il prossimo, deve comunque coincidere con una ripresa dell’entusiasmo. Mi aspetto un aumento del numero degli abbonati perché nell’ultima stagione l’ambiente era stato fortemente demotivato visto che al vertice è successo qualcosa di impensabile. So che tifosi competenti come quelli biancorossi capiranno l’importanza del salvataggio messo in atto».

Cosa spinge oggi un imprenditore a investire nello sport?
«Sicuramente c’è una visibilità mediatica che può fare anche piacere. Dal punto di vista industriale a breve termine il ritorno è quasi nullo, mentre a medio termine i vantaggi dipendono molto dai diretti interessati e dalle persone coinvolte. Disponibilità e generosità si possono trasformare in nuove opportunità industriali».

E’ vero che fino all’ultimo c’è stato qualcuno che ha cercato di mettervi i bastoni fra le ruote nel tentativo di ostacolare la nascita della nuova Lpr?
«Assolutamente sì».

Allargando il discorso al calcio, perché non è riuscita la fusione tra Pro Piacenza e Piacenza?
«Perché nel Pro Piacenza c’era troppa confusione fra azionisti di maggioranza, di minoranza e main sponsor. Non c’era una condivisione univoca sulla strada da prendere».

A un certo punto fra calcio e volley lei a Piacenza sembrava la panacea di tutti i mali. Si è chiesto il perché?
«Coincide con una parte della mia vita in cui i miei impegni imprenditoriali sono leggermente ridotti, ora ho più tempo e sono più sensibile verso alcuni aspetti che prima non potevo trattare. Una parte del mio intervento nel calcio e nel volley è spiegata con le maggiori disponibilità temporali, poi non vedo perché una persona fortunata non debba aiutare un club come il Fiorenzuola, impegnato anche nel sociale, e il volley che porta un entusiasmo enorme. Gli imprenditori sono fatti anche per restituire alla città parte di quanto hanno ricevuto».

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