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Mondiale F1: la terza meraviglia di Alex Carella

Carella, Carella, Carella! Inequivocabilmente Alex Carella! Terzo Mondiale consecutivo, alla faccia della scaramanzia, delle tante illusioni e delle tante parole (degli altri). Un weekend (arabo) perfetto: pole il giovedì, vittoria in gara il...

Carella, Carella, Carella! Inequivocabilmente Alex Carella! Terzo Mondiale consecutivo, alla faccia della scaramanzia, delle tante illusioni e delle tante parole (degli altri). Un weekend (arabo) perfetto: pole il giovedì, vittoria in gara il venerdì. Senza lasciare la benché minima chanches agli avversari. Soprattutto ai tre che, stando ai numeri, avrebbero ancora potuto strappargli la corona: Sami Selio, Shaun Torrente e Philippe Chiappe. Il finlandese, forte di una tradizione che lo aveva visto vincere i suoi due titoli iridati (2007 e 2010) proprio con l’ultima gara di Sharjah, però, aveva buttato via nelle acque dorate della Laguna Khalid le proprie ambizioni con un giorno di anticipo, vittima di un looping a conclusione della Q3. La paura («Non ho patito dal punto di vista fisico, ma avevo bevuto un sacco di acqua salata…», ha raccontato), la difficoltà di cambiare di nuovo barca grazie al sacrificio di Filip Roms, il giovane scudiero nel Team Mad Croc-Baba, hanno poi fatto il resto. Sami, si sa, non è uno che si arrende tanto facilmente, ha lottato fin che ha potuto, scattando però dalla quindicesima posizione in griglia avendo cambiato barca e motore, poi ha alzato bandiera bianca al giro numero 21, quando il ritardo dal trio al comando, era già troppo evidente.

DUE SOLI A RINCORRERE In una gara molto più dura del previsto, come dimostra il fatto che solo in dieci sono riusciti a portarla a termine («Credetemi - precisa Carella -, non è un tracciato facile, richiede una preparazione meticolosa di barche e motori: i miei come al solito l’hanno fatto, a momenti mi pareva di correre su un binario…»), due soli sono così rimasti apparentemente in lizza fino alla fine. Ma le loro speranze, le loro illusioni e chissà, anche qualche imprecazione («Ma quello lì non rallenta mai?») sono state vane, il ritardo era sempre tra i due e i tre secondi. Per un po’ ci ha provato Torrente, poi anche lui ha dovuto lasciar strada a Chiappe. E soprattutto al compagno di squadra: «Ma certo che ci ho provato - spiega lo statunitense -, ma ad un certo punto ho cominciato ad avere qualche problemino con il traffico lento dei doppiati e, in un paio di occasioni, ho rischiato di perdere il controllo della mia imbarcazioni. Lì ho capito che era arrivato il momento di cambiare strategia, puntando a salvare il doppio podio: in gara e nel Mondiale. E non posso che essere soddisfatto: di quanto ho ottenuto (sono passato dall’11° posto della scorsa stagione al 2° di questa) e di quanto bene hanno lavorato gli uomini mi che stanno a fianco. Ci riproveremo nel 2014. Ancora assieme». Non ha invece parole, manco un sorrisetto sul podio, Philippe Chiappe. Lui, dopo tutto, ha perso due volte nelle stesso giorno. In gara, dove in verità ha lottato come un leone (il Mondiale avrebbe però attraversato le Alpi solo con un doppio ko di quei due del Team Qatar) e con le carte bollate. Proprio nel giorno dell’ultima gara di campionato (ma che tempismo…), l’Uim ha fatto sapere che il ricorso presentato in Appello da Chiappe dopo Doha, dove era stato squalificato per irregolarità sul motore (dopo aver momentaneamente scippato il podio a Youssef Al Rubayan), è stato respinto. Adesso non è il caso di star qui ad entrare nei lunghi cavilli della decisione, discussa lo scorso 30 novembre (complimenti bis per il tempismo…), visto che il succo della vicenda è che l’intervento sui deflettori del catamarano con il numero 7 sulla livrea del Ctic China Team «ha influenzato il flusso della miscela combustibile-aria». Amen.

SOGNATORE VINCENTE Inequivocabilmente Carella, si diceva. I borbottii (ma quanti!) dei francesi resteranno tali per sempre. Alex non vuole manco pensarci. «Come sempre – sottolinea con un flash - guardo in casa mia. E posso dire che, anche stavolta, ho dato il massimo. Meglio di così posso dire di aver guidato meglio solo a Doha, poche settimane fa. Ma sapete tutti com’è finita. Stavolta è stato tutto perfetto, anche grazie al (solito) lavoro degli uomini della mia squadra. Eccezionali! Come avrei potuto non assecondarli?». E se ne va, felice come non mai, per un abbraccio a mamma Lu (che barba: non vuole che finiscano in pubblico le foto «di famiglia»…), a papà Roberto e alla zia Elena, sorpreso quando qualcuno gli ricorda che ha vinto tre Mondiali come Renato Molinari e che uno solo, nella storia della F1 iridata, è riuscito a vincere un campionato per quattro volte di fila. Anche qui, le parole contano poche. E’ solo un traguardo. Il traguardo prossimo venturo. Magari un sogno. Come quella frase scritta sul cupolino delle due Dac del Team Qatar: «The winner in the one who never stops fighting» («Il vincitore è colui che non smette mai di lottare») anche se, secondo qualcuno, la frase esatta di Mandela dovrebbe essere «Il vincitore è un sognatore che non smette mai di sognare». Ma non fa differenza, vero? Visto il risultato, dobbiamo dire proprio di no. Inequivocabilmente.

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