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Mazza: «Umiltà, tanta fame e un pizzico di Atalanta. Ecco come vorrei il mio Vigolzone»

Il tecnico torna in panchina dopo oltre un anno e mezzo. «Senza una grande voglia di vincere nello sport non si va da nessuna parte»

«Mi mancava il campo, il rumore dei tacchetti, l’adrenalina della partita. Così quando i dirigenti del Vigolzone mi hanno chiamato ho detto di sì. Non ne faccio una questione di categoria, in Prima non ho mai allenato, ma a qualunque livello sono importanti gli stessi valori: entusiasmo, fame e umiltà».

Massimo Mazza torna protagonista a più di un anno e mezzo di distanza dalla sua ultima apparizione. Era la fine di gennaio del 2020 e il tecnico piacentino lasciò la guida del Codogno in Eccellenza subito dopo aver festeggiato il record della panchina numero mille in carriera. Sono passai venti mesi ma sembra un’era, considerato che in mezzo c’è stato il Covid e una nuova entusiasmante avventura. «Insieme a Batman Sgorbati e a decine di amici del mondo dilettantistico abbiamo creato Friends for Life per aiutare chi ha bisogno. Un gruppo che mi sta dando enormi soddisfazioni, su cui ero totalmente concentrato e che continuerò a coltivare con grande attenzione».

Quando è arrivata la chiamata del Vigolzone a cosa hai pensato?

«Ho capito subito che si tratta di gente seria e questo è l’aspetto fondamentale, indipendentemente dalla categoria. A Piacenza ci sono due società di Eccellenza, e quello è davvero il salto in avanti, per il resto allenare in Promozione o in Prima cambia davvero poco, l’importante è avere a che fare con una dirigenza di livello».

La prima cosa che hai chiesto?

«I motivi per cui non proseguivano con Giacomo Porcari e Alfredo Albertelli dopo una sola giornata di campionato, perché volevo capire quali fossero i problemi della squadra. Me li hanno spiegati e so bene che certe situazioni possono capitare. Anche io al Gotico qualche anno fa fui esonerato dopo un mese di lavoro».

Su quali aspetti punterai per far crescere il Vigolzone?

«Innanzitutto devo conoscere la squadra, perché alcuni ragazzi non li ho mai allenati e neppure li ho incontrati da avversario. Sono abituato a giocare in un certo modo, ma devo capire se ho calciatori in grado di sviluppare quel modulo perché poi in campo vanno loro e se non ci sono i presupposti devo essere io ad adattarmi».

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