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«Uno per tutti e tutti per uno fu il nostro segreto». Lo storico ds Gianpietro Marchetti ci racconta il suo Piacenza “tutto italiano”

Dopo anni torna a parlare il mitico direttore sportivo che fabbricò il Piace dei miracoli. Il «no» all’Inter per Turrini. I suoi trucchi sul mercato: «Cercavo sempre elementi che si sarebbero potuti integrare bene con l’ambiente e con la società. Le qualità umane contano, eccome»

Lungimiranza e coesione. Mister Cagni ci ha spiegato che in quel Piacenza tutti si sentivano importanti.
«Tutti si sono sempre sentiti partecipi: sentivamo che per fare il salto di qualità dalla C verso altri livelli bisognava davvero essere uno per tutti e tutti per uno. La forza di quella società, dalla scrivania al campo, era che tutto il gruppo cresceva ogni anno in conoscenza e in mentalità».

Parlavamo prima di valori: nelle sue valutazioni lei ha sempre guardato agli aspetti tecnici, ma anche alle qualità umane.
«Facendo così sapevo che, se qualcuno avesse sbandato, avrebbe trovato qualcun altro pronto a rimetterlo in carreggiata: cercavo sempre elementi che si sarebbero potuti integrare bene con l’ambiente e con la società. E poi c’è anche l’aspetto economico».

Quanto conta?
«Avevamo una buona disponibilità, ma nel calcio a volte bisogna anche saper fare di necessità virtù. Ci sono sempre le prime, le seconde e le terze scelte…».

Gigi Cagni, per esempio, era una primissima scelta.
«Certo, lo conoscevo bene e sapevo che per tentare la scalata dalla C1 alla B mi serviva una persona di carattere. Lui poi era motivatissimo: veniva da un gran lavoro in C2 e ambiva giustamente a un’occasione importante, con una società solida».

I migliori anni Marchetti 2-2-2

E’ stato l’inizio dei migliori anni, per riprendere il titolo della nostra rubrica, fino all’arrivo nel campionato allora più bello (e difficile) del mondo.
«Quattro promozioni, due campionati vinti e tanti anni di A non si ottengono senza una base solida. Quando non c’è, se si retrocede si può saltare in aria e si può finire a dover portare i libri in tribunale: noi non abbiamo mai fatto il passo più lungo della gamba, abbiamo sempre operato nella sostenibilità. Penso che quelle stagioni siano state storiche per la società e per la città, ma anche per tutto il calcio italiano».

Da (allora giovane) tifoso allo stadio, ricordo di aver ammirato anche spettacolari trame di gioco che oggi vengono spacciate per novità assolute.
«Qualche partita andava pur vinta! Con esterni come Turrini e Piovani, abili nelle due fasi, e alle spalle Moretti…».

I migliori anni Marchetti 3-2

Le prime punte (che a volte erano due) andavano a nozze. Ma i centravanti li avete azzeccati tutti, dalla C alla A.
«Cornacchini fu capocannoniere, De Vitis segnava valanghe di reti, e di Luiso tutti hanno in mente gol da cineteca… E ne dimentico altri! In più c’era sempre un centrocampo grintoso, e una difesa rocciosa: pensa a Maccoppi, Lucci, Polonia, Vierchowod. Quel Piacenza aveva proprietà, dirigenza, staff tecnico e giocatori speciali: Gandini, Papais, Manighetti… Ma vorrei citarli tutti. Chi arrivava in quegli anni trovava un certo tipo di ambiente e si è sempre inserito bene, e spesso è rimasto a vivere a Piacenza».

Il Piacenza tutto italiano: quanto fu una scelta e quanto una casualità?
«Oggi molte società hanno un pullman di osservatori, team manager, traduttori e collaboratori. E’ giusto perché il calcio è cambiato, ma quando ci siamo affacciati alla A noi, al confronto, eravamo quattro gatti. Ci offrivano calciatori da ogni parte del mondo, ma la proprietà non ci ha mai imposto una scelta o l’altra: in quel periodo abbiamo preferito calciatori italiani, del nostro livello, più che altro per evitare i fisiologici problemi di lingua e di ambientamento. E poi…».

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