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Piacenza Calcio

Tatanka, l’operaio del gol. «Ronaldo non era umano, Baggio l’artista delle punizioni. Cannavaro l’ho fregato». Dario Hubner si racconta

Capocannoniere in Serie A con 24 gol nel Piacenza: «Devo ringraziare Novellino e i miei compagni». E sul Divin Codino: «Mi ricordo che al venerdì ci mettevamo tutti lì a guardare lui che le calciava: sembrava di essere in un film, dove noi facevamo play e replay. Su dieci punizioni, nove le metteva al sette».

Arrivi in serie A solo a 30 anni. Eppure avevi già vinto la classifica cannonieri di C e di B con Cesena e Fano. Perché?

«È successo perché a 20 anni giocavo ancora in Prima categoria. A 25 sono arrivato in serie B con il Cesena. Per di più in un calcio dove a 31-32 anni i calciatori smettevano di giocare. Probabilmente, nelle categorie superiori non pensavano che potessi migliorare ancora, ma io l’ho fatto anche a 30-31-32 anni. Anche oggi, se un ragazzo a 20 anni non gioca in serie A quasi viene considerato vecchio. Si dice che ha perso il treno. Io sono riuscito a salirci su quel treno, anche se un po’ in ritardo».

Esordio in A a San Siro, contro l’Inter. Fai subito gol. Cosa ti ricordi di quella giornata?

«Il debutto in A non si dimentica mai. Anche la B è un campionato bellissimo, a Cesena mi è capitato spesso di giocare davanti a 20 mila persone. Però un’esperienza come arrivare a San Siro, con 84 mila persone, in uno stadio stadio che ribolliva per il debutto di Ronaldo, non mi era mai capitato».

E com’è stato…
«All’inizio la tensione c’era, poi una volta iniziata la partita pensi solo a giocare»

Era anche il giorno dell’esordio di Ronaldo.

«Io lo dico sempre: per me Ronaldo non era umano. Ho incontrato altri calciatori forti come Zidane, Samuel, Nesta, Maldini. Ma Ronaldo non era umano. Faceva cose che non sembravano vere. Aveva una velocità e un controllo di palla che non appartenevano a questo mondo».

Qual è il gol a cui sei più legato?

«A Cesena ho fatto diversi gol bellissimi, a Piacenza ricordo la doppietta nel 3-0 al Verona con la quale vinsi la classifica dei cannonieri. A Mantova segnai il gol con cui siamo andati in serie B. Ne ho fatti tanti, con diverse squadre, e sono contento di averli fatti. Ogni squadra mi è rimasta nel cuore».

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Al Brescia hai giocato con un giovanissimo Andrea Pirlo. Che tipo era?

«Era un ragazzo stupendo. Non si è mai permesso di rispondere a chi gli dava consigli. Lui ascoltava e imparava. Mi ricordo che in partitina quando sbagliava lo sgridavo, ma lui non ha mai risposto. E poi con i piedi si vedeva già che era un fenomeno. Nel primo anno a Brescia, il 1997, faceva il trequartista, nel 2000, con Baggio in squadra, Mazzone decise di arretrarlo a centromediano. Quella scelta è stata la svolta della sua carriera. Lui aveva una visione di gioco allucinante, per lui un lancio di 40 metri era un passaggio normale».

C’era anche un certo Luciano De Paola: era davvero cattivo come tutti lo descrivono?

«Beh, lui tecnicamente non era fortissimo. Aveva i piedi quadrati (risate, ndr) Luciano la buttava sulla grinta e sull’agonismo, non potendo fare i passaggi di Pirlo. Era uno di corsa, che randellava tanto, il tipico mediano. Però nel calcio servono anche questi giocatori. Penso per esempio ai fratelli Filippini, loro erano giocatori simili a Luciano, però se non ci fossero stati loro sarebbe stato un problema, perché Pirlo non marcava e non andava in pressing».

Nel 2000-2001 fai coppia con Roberto Baggio al Brescia. Com’è stato?

«Con Roberto ho avuto una fortuna e una sfortuna. La fortuna è che lui era una persona squisita. Mi ricordo che al venerdì ci mettevamo tutti lì a guardare lui che calciava le punizioni: sembrava di essere in un film, dove noi facevamo play e replay. Su dieci punizioni, nove le metteva al sette. La sfortuna, invece, è che ci siamo incontrati quando ormai non eravamo più di primissimo pelo. Lui aveva problemi al ginocchio, alla schiena, non era più quello ammirato alla Fiorentina o alla Juventus».

Però era comunque tanta roba…

«Sì, era un giocatore straordinario. Non importa se stavi perdendo, se mancava tanto o poco. Se c’era Baggio in campo, avevi sempre la speranza di poterla pareggiare. Con lui bastava una punizione da fuori area».

Nel 2001 raccontasti di avere avuto offerte dalla premier league inglese. Tu però scegliesti il Piacenza. Altri tempi?

«Di quell’estate ricordo che in panchina c’era Mazzone. Io e Baggio avevamo ruoli diversi, ma la società decise che con Roberto ci voleva un centravanti di sponda e infatti di lì a poco arrivò Luca Toni. Compresi quindi che il mio rapporto era gli sgoccioli e che dovevo andare via. Sentii di voci di una squadra inglese interessata a me, ma dopo una settimana mi chiamò Fulvio Collovati per andare al Piacenza. Il mio procuratore mi disse: “Lì c’è mister Novellino che fa un gioco fatto apposta per te”. Vidi poi che c’erano giocatori come Matuzalem, Di Francesco, Volpi, Guardalben e quindi mi dissi: “perché no?"».

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Quell’anno vinci la classifica cannonieri con 24 gol, a pari merito con David Trezeguet. Ti ha mai detto qualcosa riguardo a questo primato condiviso?

«Non ho mai avuto l’occasione di incontrarlo. Però una cosa la devo dire: se io ho vinto quella classifica cannonieri, devo ringraziare Novellino, Matuzalem, Di Francesco, Poggi. Io sono stato bravo a fare i gol, ma senza i miei compagni non sarei riuscito a fare niente».

Poteva fare di più quel Piacenza?

«Era davvero un’ottima squadra, però abbiamo buttato via punti che forse potevamo gestire un po’ meglio. E se al secondo anno fosse rimasto Novellino sono convinto che sarebbe andata molto meglio».

Chi era l’attaccante più forte di quella serie A, oltre a Hubner ovviamente?

Ride. «All’epoca ce n’erano tanti: Vieri, Inzaghi, Trezeguet, Montella, Totti, Batistuta. Ogni squadra aveva il suo top player. Perfino in serie B era così: c’erano giocatori come Caccia, Tovalieri, Schwoch che al giorno d’oggi avrebbero giocato senza problemi in serie A»

Il giocatore più forte che hai mai affrontato?

«Io dico sempre Ronaldo, una spanna sopra a tutti gli altri. Anche se, ripeto, ogni domenica incontravi almeno 4-5 fenomeni».

Difensore più ostico che hai mai affrontato, quello che ti faceva sudare freddo…

«Difficile metterli in fila. Se andavi nella capitale contro Roma o Lazio, oppure a Milano o Torino sapevi che sarebbe stata una domenica particolare. Se ti marcava gente come Aldair o Samuel non era facile toccare tanti palloni. Contro la Juventus dovevi affrontare Montero e Ferrara, a Parma incontravi Thuram e Cannavaro. Ogni domenica era una battaglia in cui dovevi cercare di fare il massimo possibile».

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