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Sabato, 20 Aprile 2024
Piacenza Calcio

Parla il capitano. Totò De Vitis: «La favola Piacenza nasceva da una società perfetta. Tutti conoscevano il proprio limite»

Il bomber biancorosso per eccellenza si apre alla nostra rubrica. «Il gol di tacco al Verona? Fidati, fui fortunato» mentre sui tifosi della Cremonese: «Mi auguravano la morte, gli infilai una doppietta». E ancora: «Pippo Inzaghi non ha studiato alla mia scuola, aveva l’istinto del gol che è innato per un attaccante di razza».

In questa frase c’è una gran verità, però è molto merito vostro. Devi avere gli uomini giusti per fare un ragionamento del genere, mica è facile.
«Non sono d’accordo. Mi spiego: quello spogliatoio, la nostra serietà, il nostro comportamento erano tutto frutto di un input che arrivava dall’alto, cioè dalla società. Noi non eravamo altro che quello che la società ci chiedeva di essere. I meriti se vuoi li possiamo distribuire però, prima di tutto, l’applauso va fatto a quella società».

Senti ma Cleto Polonia picchiava così tanto in allenamento?
«Ahahaha questo è quello che ti raccontano. Cleto è stato un difensore eccellente, uno dei più forti mai visti. Cleto ti dava l’impressione di “picchiare” perché aveva un gioco aggressivo ma questo gli permetteva di arrivare per primo sulla palla. Polonia io l’ho sempre paragonato al Claudio Gentile nel Mundial ’82. Ti dava quell’impressione, ma chi picchiava era un altro» aggiunge ridendo Totò.

Alt, fermi tutti. Dicci chi.
«Bobo Maccoppi era uno che in campo te le dava davvero, però era furbo perché non si faceva mai vedere». E giù risate.

I migliori anni De Vitis 7-2

C’è stato un difensore che ti dava particolarmente fastidio con la marcatura?
«Ti dico due nomi. Uno è Pietro Vierchowod, l’altro è Franco Baresi. Baresi di assicuro che era davvero molto, molto, molto forte. Impressionante».

Il compagno più forte nel Piacenza?
«E’ una domanda complessa. Se parliamo tecnicamente conveniamo tutti su un singolo nome: Daniele Moretti. Il Moro aveva la capacità di nasconderti il pallone e poi lo ritrovavi da un’altra parte».

Tuttavia?
«Tuttavia permettermi di dirmi che quel Piacenza era tutto forte a modo suo, ognuno con le proprie peculiarità ma tecnicamente eravamo davvero bravi. Ad esempio: Piovani ti poteva sembrare uno tutto scatto e dribbling, sempre attivissimo, ma era molto dotato tecnicamente. E vogliamo parlare di Turrini? Altro che faceva numeri eccezionali. Anche Papais era forte, se andiamo in difesa non possiamo non citare Mino Lucci. Tutti uomini giusti al posto giusto».

C’è un giocatore che nella tua vita ti ha dato l’ispirazione?
«Sono interista, non potrei farti altro nome che Boninsegna».

Una volta Piovani ci ha raccontato di un tuo discorso, prima di un derby contro la Cremonese, in cui hai spiegato il concetto di “cazzimma”.
«Il senso è semplice: i derby si affrontano così. Sono partite particolari, ci vogliono tranquillità ed esperienza sennò diventa tutto difficile. Io, prima di arrivare a Piacenza, ho giocato il derby Salernitana-Cavese. Stai dentro a una centrifuga prima, durante e dopo. Ti garantisco che è difficile gestire certe partite: servono, ripeto, tranquillità ed esperienza. La “cazzimma”».

I migliori anni De Vitis 3-2

E poi?
«E poi quei due colori lì, non riesco nemmeno a dirli, non è che siano simpatici. Diciamocelo. Una volta quei tifosi mi hanno cantato per 90’ di fila “Noi vogliamo morto De Vitis” per me il derby del Po ha una gran valenza e se puoi farlo li devi bastonare sul campo».

Ci scappa da ridere perché tu l’hai fatto.
«Certo, gli ho infilato una bella doppietta».

C’è una partita a cui sei particolarmente legato?
«Concordo nel dire che la più bella mai giocata fu contro il Cesena, come ha detto Cagni. Segnammo solamente allo scadere ma dovevamo vincere con 10 gol. Io ne sbaglia una quantità industriale. Però, i bei momenti, non si legano solo a una partita ma anche al contorno e quindi ti rispondo Cosenza. Quella data ha un valore storico per tutti noi e per quello che regalammo alla città».

Turrini, Piovani, Moretti, Inzaghi, De Vitis. La Serie B non vedrà mai più un attacco del genere.
«Stagione 1994/1995, vincemmo con 5 giornate di anticipo in carrozza. Concordo al cento per cento con te, quella squadra era letteralmente impressionante. Diamo però merito alla società. L’anno prima in Serie A ci fecero retrocedere, lo sappiamo tutti. Il presidente ordinò il silenzio stampa, parlò solo lui, promise di tornare su immediatamente e così fu».

Lucci ci ha detto che tu sei “il capitano”. E’ un onore però sapere che un gruppo così bello identificava e identifica ancora oggi, in te, la bandiera.
«Sarei un bugiardo a dirti che non mi fa piacere, certo che me lo fa. Quello spogliatoio era formato da uomini veri. Però, e qui torno a quanto ti ho già detto, il vero segreto era che ognuno conosceva il limite dell’altro e nessuno lo sconfinava, per nessun motivo».

I migliori anni De Vitis 1-3

E poi?
«Avevamo in tutto questo il numero uno assoluto, Gian Nicola Pinotti. La sua figura è stata fondamentale per far girare l’ingranaggio nel modo più giusto, il perfetto raccordo tra allenatore e spogliatoio. Questa è la verità, Pinotti è stata una persona meravigliosa e indispensabile, qualunque problema ci fosse lui ti aiutava e non ha mia detto o fatto qualcosa fuori posto. Persona letteralmente incredibile per noi».

Toglici solo una curiosità. Chi ti intervista, nel 1993 aveva 13 anni e d’estate veniva tutte le sacrosante mattine in bicicletta, con la sua Mountain Bike argentata in stile chopper, vinta alla lotteria della Festa del Fungo, dietro al Bar Madison perché dicevano che abitavi lì e volevo l’autografo. Non sono mai riuscito a vederti e l’autografo ancora mi manca. Abitavi davvero lì o abbiamo perso un’estate intera per nulla?
«Certo che abitavo lì».

I giapponesi dicono “il fiore perfetto è una cosa rara, se si trascorresse la vita a cercarne uno non sarebbe una vita sprecata”. Noi gli abbiamo dedicato un’estate intera, da bambini, ora sappiamo finalmente che eravamo nel posto giusto. Ci mancò la fortuna, non il valore.

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