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Giovedì, 25 Aprile 2024
Piacenza Calcio

Lo scatto di Rummenigge, la classe di Platini e la potenza di Matthaus. La vita di Stefano Maccoppi: «Van Basten lo ammiravi, Scirea era elegante».

Bobo ha attraversato due decenni fantastici tra amici del cuore «Gaetano e Borgonovo me li porto dentro» e battaglie epiche «a Diaz ho dovuto chiedergli scusa. Ridle una volta mi ha fatto impazzire». E poi gli aneddoti: «Al corso allenatori Pruzzo mi urlò “pure qui mi meni”, quanto ho riso».

Che personaggio.
«Una volta mi raccontò del suo incontro con Boniperti. Quando firmò con la Juve fu chiamato da Boniperti nel suo ufficio e gli disse “vede Bruno questa maglia, ha le strisce nere e poi ci sono quelle bianche. Ecco, sappia che al termine della partita quelle bianche devono essere nere”. Lo disse urlando. Bruno mi chiamò per dirmi “Bobo uscito da quell’ufficio ero talmente carico che volevo spaccare tutto”. Lui è così».

Hai un altro fratello, Stefano Borgonovo.
«Con il Borgo abbiamo passato davvero tanti anni e tante avventure insieme. Lui è il testimone di battesimo di mio figlio Andrea, tanto per dirti che rapporto speciale avevo con il Borgo. Ero suo fratello maggiore. Nella sua vita ha avuto tante problematiche alle articolazioni e spesso lo hanno operato. Mi ha colpito come nel suo libro spiega dell’incontro con una zingara che gli predisse una vita bellissima ma poi anche un dramma, oppure quando racconta dell’episodio dell’eroinomane che l’aveva rapito. Il giocatore poi era eccezionale ma con lui davvero avevo un rapporto particolare perché siamo stati molto insieme fin dalle giovanili».

I migliori anni Maccoppi e Borgonovo al Como-3

Vi siete anche incrociati sul campo.
«Come no, sai quante volte. Como-Fiorentina, lui era appena andato ai viola, noi siamo avanti 1-0. A fine primo tempo riesce a farmi gol, lo marcavo io e conoscevo il suo modo di giocare, molto sulla linea dei difensori e quindi spesso riuscivo a metterlo in fuorigioco. Questa volta fa tutto benissimo, mi scappa e segna ma l’arbitro annulla per offside. Quante me ne ha dette dopo, mi diceva “lo sai che è regolare e non glielo dici”, me lo rinfacciava sempre quell’episodio. Che risate».

Dai risolleviamoci il morale, partiamo con la mitragliata che qui viene paura solo a leggere un terzo della gente che hai marcato. Karl Heinz Rummenigge?
«Mamma mia quanto era duro».

Prego?
«Como-Inter 1985. Rino Marchesi, il tecnico, viene da me e mi dice “oggi ti marchi Kalle”. Campo zuppo di acqua, pesantissimo, fangoso. Rummenigge come se niente fosse, quanto scattava sul primo metro te ne dava uno di distacco. Giuro che potevi quasi sentire i suoi muscoli mettersi in moto, come fosse il motore di un auto che sprigiona i cavalli a terra. A un certo punto volavano anche le botte».

Mica facile marcarlo.
«Gli davo delle bordate per fargli capire “ehi non tenerla troppo la palla che ti meno”. Siamo vicino alla bandierina, giuro che gli faccio un’entrata brutta, ma veramente molto brutta, però non lo prendo. Se l’avessi centrato gli avrei fatto male. Lui anche lì come se niente fosse, altri me ne avrebbero dette di tutti i colori, lui via liscio come l’olio. Un signore».

I migliori anni Rummenigge e Maccoppi-2

Pruzzo?
«Ahaha quante litigate, però abbiamo anche riso molto. Un vero bomber, se andava bene doppia cifra e classifica cannonieri sua, se andava male arrivava al massimo secondo. Di litigate in campo con lui ne ho fatte tante davvero, facevamo a botte sul quel rettangolo verde».

E poi?
«Succede che ci troviamo al corso di allenatori Uefa Pro e ci fanno fare una partitella. Eravamo io, lui, Baresi, Tassotti e Cabrini tra gli altri. A un certo punto Pruzzo impazzisce e mi urla “anche qui me segui e me meni”? Ahaha siamo scoppiati a ridere, lui ci guarda e dice che gioca solo se stiamo nella stessa squadra “è tutta la carriera che me le dai”».

Maradona?
«Eh, cosa dire, se non che era semplicemente straordinario. Lo incrociavo poco sul campo perché stavo più che altro su Giordano o Careca. Mi ricordo quando facemmo l’antidoping insieme, non riusciva a riempire la provetta, si assentò e tornò dopo poco con un bicchiere colmo di pipì. Chissà di chi era - dice ridendo Bobo - comunque anche lui dal lato umano era unico. Il giocatore lo conoscete, però vi assicuro che aveva un carisma pazzesco e sempre parole di incoraggiamento per i compagni in campo».

Che anni, i migliori?
«Era un calcio diverso. Pensa che nel mio Como c’era Dirceu, cioè uno che arrivava da tre Mondiali giocati col Brasile. Ed era nel Como, una squadra che puntava alla salvezza. Il bello in quegli anni è che c’erano talenti e campioni incredibili in ogni formazione».

Oggi sarebbe impensabile.
«Sì».

Si arriva a fine decennio e ti ritrovi a marcare Van Basten. Qui cosa ci dici?
«Il Cigno era fortissimo, per me rimane il miglior numero 9 che ho visto. In campo per tenerlo dovevi dargli delle stringhe pazzesche e lui, come molti altri campioni, non ti guardava nemmeno e non ti diceva nulla. Onestamente quando giocavi contro Van Basten lo dovevi ammirare perché era perfetto».

Ci interessa molto il giudizio su un giocatore: Lothar Matthaus.
«Siamo a San Siro, noi praticamente salvi, ci serve 1 punto in 5 partite per far festa. Io stavo litigando con Diaz, seguo il suo taglio, Matthaus punta Albiero sulla destra, rientra e fa un gol alla Del Piero tanto per capirci. Giuro che il pallone mi è sibilato vicino alla testa e sentivo distintamente il fischio del tiro tanto era potente. Una bordata mai vista. E’ incredibile poterlo distinguere dentro San Siro con 80mila persone che urlano. Quel fischio me lo ricordo ancora adesso».

I migliori anni Maccoppi e Van Basten-2

Si ma a questo punto ci interessa la litigata con Diaz.
«Abbiamo preso una rumba quel giorno dall’Inter. Siamo 4-0 per loro e manca ancora un bel po’ alla fine della partita. A un certo punto guardo Diaz e gli dico “siete 4-0, gira a largo da me, tieni poco il pallone e stai buono perché se ti prendo finisce male”. Mi sono dispiaciuto per quella cosa, a fine partita l’ho aspettato per chiedergli scusa».

Vialli?
«Si vedeva subito che avrebbe fatto strada, lo affrontai per la prima volta in una partita contro la Cremonese, non aveva nemmeno 20 anni. Si capiva che sarebbe diventato Vialli, belle battaglie anche con lui. Aveva semplicemente tutto, attaccante moderno completo in ogni giocata. Però, anche qui, l’aspetto umano è quello che mi colpiva di più. Sempre parole positive di incoraggiamento ai compagni, in ogni frangente. Altri non avevano questa sensibilità».

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