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Il sequestro del padre, la vita da imprenditore e il progetto Piacenza. Roberto Pighi si racconta: «La pandemia mi ha cambiato»

Il nuovo presidente dei biancorossi ci racconta la sua vita in un'intervista esclusiva. «Il Piacenza rischiava di chiudere poi un giorno, durante il lockdown, ho sentito passare ben 55 ambulanze e da lì è cambiata la mia prospettiva della vita»

I punti cardine sono: una società sana, un progetto sportivo con un senso logico, un marchio comunque riconosciuto nel mondo che aiuti il territorio e, soprattutto, rischi e impegni ben sopportabili perché ponderati. C’è un Piacenza che viaggia su due binari paralleli, ovviamente distinti negli obiettivi ma conducono entrambi alla stessa stazione: strutturare la società per renderla sempre più forte negli anni con l’intento del «più siamo meglio è e, soprattutto, meno pericoli si corrono».
Tutti argomenti snocciolati nell’intervista al presidente Roberto Pighi, da poco più di un mese al timone di via Gorra dopo l’uscita di scena dei fratelli Gatti (che rimangono come sponsor con la Steel Acciai) e l’avvio di un nuovo progetto sia sportivo sia societario. Pighi ha rastrellato le quote societaria e ora l’intento è quello di avviare un “azionariato imprenditoriale”, in altre parole trainare dentro alla società una serie di imprenditori - possibilmente del territorio - al fine di costruire una struttura il più ampia possibile.
Al suo fianco ci sono già Marco Polenghi (ceo della multinazionale Polenghi) ed Eugenio Rigolli (Artigiana Farnese), da piazzare però rimane un altro bel pacco di quote ma la strada è appena iniziata e proprio Pighi lancia un appello: «Adesso è l’ora di entrare per fare qualcosa di concreto, sono molto fiducioso e a breve credo che annunceremo un nuovo socio». Nel frattempo, due stanze più in là, c’è il nuovo tecnico Vincenzo Manzo che sta firmando l’accordo per sedersi sulla panchina del Piacenza.

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IL SEQUESTRO DEL PADRE E LA VITA DA IMPRENDITORE
Facciamo però un passo indietro e prima di tuffarci nel nuovo progetto Piacenza approfondiamo la storia di Roberto Pighi, il maggiore di quattro fratelli che formano una delle principali - e longeve - famiglie imprenditoriali del territorio. Una vita segnata da un evento preciso, 41 anni fa.
«Avevo appena iniziato l’università, Scienze Politiche, quando mio padre venne sequestrato sulla Tangenziale Ovest di Milano, io quella sera ero a San Siro per un recupero Inter-Napoli. Fu tenuto prigioniero per 36 giorni, i beni della famiglia vennero provvisoriamente congelati, dopodiché venne liberato a San Giacomo di Roburent, vicino a Cuneo. Prima di arrivare lì passò in altri due nascondigli ma noi conosciamo solo quello del ritrovo. Erano tempi in cui avvenivano almeno due sequestri a settimana. Dal 1983 iniziai a lavorare in modo professionale in giro per l’Europa grazie al fatto che conoscevo tre lingue accumulando esperienze intercontinentali. D’altronde quella era la strada della famiglia, io e i miei fratelli rappresentiamo la quarta generazione. Mio nonno iniziò con i “rottami” prima della guerra, poi nel ’77 mio padre fondò la Tubi Acciaio Lombarda e quello fu in sostanza il salto di qualità perché passammo a essere una multinazionale, tra i leader nel Piping System. Il passaggio successivo fu quello di entrare nella Petrol Raccord, fu un investimento che portò prestigio e lustro al gruppo, ci diede una dimensione diversa, diventammo un colosso. Nel 2008, poco dopo la morte dei nostri genitori, mi separai dai miei fratelli e lasciai il gruppo con un consolidato da 190 milioni di euro. La Petrol Raccord diventò mia a tutti gli effetti, decisi di venderla, poi la ricomprai e infine la cedetti nuovamente».

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