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Piacenza Calcio

Don Giuseppe, la corsa sotto il Rettilineo e una vita come nelle favole. Piovani: «Piacenza è il mio cuore».

JPP: «Giocherei per voi anche a 52 anni. Marchetti e Quartini gli artefici del miracolo. Leonardo persona unica, Cagni il condottiero. L’unico cruccio è non aver salutato il pubblico come volevo io». Il Pio ci racconta tutto: «Papais invecchiò tre anni in un colpo solo, lui e Suppa correvano per quattro».

Parliamo di Suppa e Papais?
«Due pietre su cui si è poggiato quel Piacenza. Cagni pretendeva molto da loro, corsa, polmoni e posizione. Suppa a volte correva per quattro».

Papais?
«Idem. Se lo vedi oggi è ringiovanito».

Spiega spiega.
«Nel 94-95 per supportare me, Turrini, Moretti, De Vitis e Inzaghi gli era chiesto di correre per tutti. Credo che Papais in quella stagione sia invecchiato di tre anni in un colpo solo. Infatti poco dopo ha smesso - dice ridendo - oggi è più giovane. Ricordati che senza di lui e Suppa quel Piacenza non poteva stare assolutamente in piedi. Due giocatori eccezionali».

Bortolo Mutti?
«Ecco, da lui ho imparato la psicologia e la gestione della tensione nel gruppo. E’ giovedì e facciamo l’amichevole in vista della partita della domenica, arrivava il Milan che batteremo poi 3-2 con la rovesciata di Luiso. C’era tensione al campo di allenamento e lui non ci stava osservando ma guardava il terreno. Io pensai “cavolo magari non sta bene”. E allora gli urlai “ mister, tutto ok?”. Lui alzò lo sguardo e disse “domenica arriva il Milan, imparate, chiusura a riccio e ripartenza a farfalla”. Tutti scoppiammo a ridere. Non sembra ma quella battuta rilassò la giornata e l’ambiente».

I migliori anni Piovani 6-2

E lo spareggio di Napoli?
«Il Cagliari era molto più forte noi, Mutti fu bravissimo a portarci una gran tranquillità. Vincemmo grazie a quello e all’umiltà che fu messa in campo».

Quello di Guerini è forse il Piacenza più forte?
«Diciamo che c’era un gruppo già formato. Chi è venuto dopo Cagni ha trovato uno spogliatoio saldamente collaudato come i meccanismi sul campo, ci si conosceva a memoria. Sicuramente il Piacenza di Guerini puntava ad alzare l’asticella, in campo ci si divertiva parecchio. Lo stesso discorso vale per quello di Materazzi. Però, come ho detto prima, la tavola in quel caso era già stata apparecchiata e qui richiamo in causa il ds Marchetti che cambiava poco e nei punti giusti».

Tu sei l’idolo ma noi amiamo molto anche Giovanni Stroppa.
«Ci siamo trovati da piccoli nel Milan e poi al Piacenza. Gran giocatore che sapeva abbinare qualità fisiche importanti a una tecnica pazzesca. Mi ricordo che impazziva se metteva su un chilo di troppo. “Poi lo pago in campo” mi diceva. Gli ho visto fare colpi impressionanti, al livello di Baggio e Maradona».

Bobo ci ha detto che Moretti era il giocatore di maggior talento.
«Confermo. Con tutto il rispetto per gli altri, Daniele Moretti a tecnica ci batteva tutti 10 a 0. Forse Stroppa gli si avvicinava. Il Moro col pallone tra i piedi era davvero superlativo».

E tra voi c’è una grande amicizia, giusto?
«Ci sentiamo quasi tutti i giorni, per 10 anni abbiamo condiviso la camera in albergo e in ritiro. Mi ricordo che una volta passò Cagni a darci la buonanotte, io sapevo che rischiavo di non giocare perché non mi ero allenato al massimo causa una leggera influenza. Gli dissi “ehi Moro, se Cagni mi dice che sto fuori gli rispondo di no”. Il Moro mi diceva “sei matto, non farlo”».

E come finì?
«Cagni entrò, mi disse che alla domenica non avrei giocato ma io gli risposi in dialetto bresciano “no io vado in campo”. Daniele era sotto al letto impaurito, ahaha che ridere quella volta».

E Cagni?
«Uscì sbattendo la porta. Dopo 10 secondi rientrò e mi disse “mi piace la tua sicurezza, giocherai, non farmene pentire perché sennò ti attacco al muro”».

Se ne pentì?
«Sì perché giocai male e in settimana era piuttosto arrabbiato. Per questo ho detto che oggi mi sembra più malleabile». E giù altre risate.

I migliori anni Piovani-3

Che partita era?
«Il derby vinto 3-2 contro la Cremonese, gol di Totò che vale il sorpasso in rimonta».

Ma non è finita qui, vero?
«Era arrabbiato al martedì, per fortuna si mise di mezzo Pinotti e tutto rientrò. Pinotti era una figura fondamentale di quel miracolo. Il nostro salvagente perché faceva da tramite tra noi e Cagni. “No no no ragazzi questo non possiamo dirglielo, vi giuro che si incavola” oppure “sì ragazzi, questo lo possiamo dire, ci penso io”. Persona squisita. Dava equilibrio al meccanismo».

Hai citato il gol di Totò: ci parli della “scuola De Vitis”? Questa definizione ci fa impazzire.
«Concordo con Brioschi, De Vitis a quel tempo è stato il maestro per tutti i centravanti. Sinceramente non ho mai visto un altro attaccante fare i movimenti di Totò in area, erano perfetti. Giocavamo a memoria con lui, io da una parte e Turrini dall’altra, sapevi come metterla perché eri certo che Totò sarebbe arrivato sul pallone in un determinato modo e in un preciso istante. Inzaghi ha preso molto da lui. La scuola De Vitis».

E Simone Inzaghi?
«Pippo era un cane da tartufo, insuperabile in area. Simone era più da lavoro fuori dall’area. Ti spiego: con Simone potevi chiedere l’uno-due e ti ritornava la palla. A Pippo chiedevi l’uno-tre».

Cioè?
«Gli davi la palla per riaverla sull’inserimento ma lui la dava a un altro».

Serie B, 1994/1995. Formazione stellare.
«Partimmo male perché sul collo avevamo il bastone della retrocessione. Lo stadio giustamente ci fischiò perché non davamo il massimo e si vedeva. Poi arrivò il 3-0 contro il Palermo, tripletta di Pippo, da lì cambio la storia. Cagni varò la formazione con me e Turrini ai lati, De Vitis e Inzaghi davanti e Moretti a supporto. Lo potevamo fare grazie a Papais e a una difesa davvero forte».

Il gol a cui sei più legato?
«La rovesciata contro il Cagliari. Bella. Poi ci serviva quel risultato e, infine, il giorno dopo nacque mio figlio Jacopo. Fu tutto perfetto».

Moretti ci ha detto che il colpo di tacco è di gran lunga più bello della rovesciata.
«Perché lui non era capace di farla e quindi schienava a terra».

Beh noi andiamo pazzi per la cavalcata di Coppa contro il Milan.
«Se parliamo in generale allora sono d’accordo, gran gol quello davanti a uno stadio pieno. Giocammo due partite, quella col Milan e poi con i tifosi all’esterno che festeggiavano il passaggio del turno».

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Al turno successivo incontraste il Torino. Lì c’era Francescoli.
«Il Principe. Altro gran fuoriclasse. Al Torino era a fine carriera, se giocava male era meglio non averlo ma se per caso lo trovavi in giornata erano dolori. Sai che hai ragione: proprio i migliori anni».

E arriviamo all’addio.
«A cena, appena terminata la partita contro il Treviso, ci dissero a me e al ds Marchetti che non facevamo più parte dei piani della società. E’ il mio cruccio questo, non solo trasformarono una festa in un funerale ma non mi diedero nemmeno la possibilità di poter salutare il pubblico allo stadio. A modo mio. Ancora oggi mi sale una gran rabbia per il modo e i tempi in cui me lo dissero. Con Leonardo non sarebbe mai accaduto».

Percepiamo che sei ancora molto arrabbiato.
«Certo. C’era Marchetti in lacrime e io penso tuttora di non aver meritato quel trattamento. Per il Piacenza rifiutai la Fiorentina e il Valencia, parliamo di miliardi ed esperienze, chiedevo solo di poter salutare il pubblico a modo mio. Con la vecchia società quella cosa non sarebbe successa, o almeno, non sarebbe successa a cena dopo la promozione. Ci sarebbero stati un tempo e un modo».

Ultimo giro?
«Ringrazio sportpiacenza.it per avermi dato la possibilità di raccontarmi in modo così approfondito. Ringrazio tutti i miei compagni di quell’avventura, quella società e ovviamente i tifosi che porto sempre nel cuore».


 

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