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Da Gascoigne a Lucescu, Luciano De Paola si racconta

Dopo un flirt di mezza estate poi finito in una bolla di sapone, Luciano De Paola, in seguito all’esonero di Francesco Monaco, è arrivato sulla panchina biancorossa. Lui non vedeva l’ora di allenare il Piacenza: «Sono arrivato con sei mesi di...

Dopo un flirt di mezza estate poi finito in una bolla di sapone, Luciano De Paola, in seguito all’esonero di Francesco Monaco, è arrivato sulla panchina biancorossa. Lui non vedeva l’ora di allenare il Piacenza: «Sono arrivato con sei mesi di ritardo, ma alla fine sono arrivato e questo è l'importante. Il mio Piacenza? Deve lavorare sodo, correre e pensare ad essere più concreto che bello, è così che si gioca in Serie D». In una frase, in pratica, De Paola rivela tutto sé stesso e il suo modo d’intendere il calcio: entusiasmo, concretezza, sudore e lavoro duro. Lui, classe 1961 e specializzato in situazioni difficili, che con quella capigliatura sbarazzina sembra avere un diavolo per capello.

VITA DA MEDIANO – De Paola è rimasto, da allenatore, tale e quale a quando calcava i campi della serie A. Lui era un mediano esplosivo e tutta grinta. E pensare che partì dalla sua Crotone, dalla Terza categoria, per poi arrivare fino alla serie A che raggiunse con il Cagliari: «Claudio Ranieri aveva chiesto un mediano a Gianni Di Marzio, lui indicò me come un acquisto sicuro. E in due anni salimmo dalla Serie C alla Serie A».
La sua carriera poi si sviluppò per un viaggio decennale sempre a cavallo tra la serie B (dove centrò cinque promozioni) e la serie A, giocando in Brescia, Lazio, Atalanta, Cosenza e ancora Brescia. Erano i ruggenti anni ’90 del calcio italiano e a Luciano De Paola capitò di giocare al fianco di Fonseca e Francescoli al Cagliari, ai vari Hagi, Ganz, Pirlo, Hubner – nella doppia esperienza al Brescia – e con Signori e Di Matteo alla Lazio. Fu compagno anche di Gascoigne: «Tanto forte quanto matto, alla Lazio eravamo compagni di stanza e nei pochi mesi nei quali siamo stati insieme ne combinava di tutti i colori». Sempre nel breve periodo laziale fu travolto dalle polemiche per un'intervista nella quale si definì un «centrocampista comunista» e la cosa alla Curva biancoceleste, notoriamente di destra, non piacque granché. Però al riguardo De Paola spiega: «Sinceramente non ho più voglia di affrontare quella vicenda. La verità è che io avevo rilasciato un'intervista al Guerin Sportivo in cui non avevo parlato di politica. Un giornalista di Roma riprese quell'intervista travisandone il contenuto, voleva fare lo scoop ma mi mise nei casini. Pensa che a quel tempo non andavo a votare già da una decina d'anni, figuriamoci se parlavo di politica».
Da buon mediano metodista spesso gli capitava di ricevere in consegna clienti molto difficili come un certo Ronaldo e il "divin codino", Roberto Baggio.

SALTO IN PANCHINA – Dopo le ultime parentesi da calciatore con Cremapergo e Ospedaletto, per De Paola giunge il momento di diventare allenatore. Il tecnico mentore, l'uomo che quando giocava lo segnò maggiormente fu un certo Mircea Lucescu, suo allenatore a Brescia nel 1991: «Puntava sul mio ruolo, il centrocampista metodista. Con lui arrivai nella top 11 dei centrocampisti di Serie A, ero perfino davanti a Rijkaard. Per me rimane il più grande tecnico con cui ho lavorato e posso dire che ha influenzato il mio modo di allenare soprattutto con lui ho imparato che la squadra deve assomigliare al suo allenatore come carattere». Il debutto da mister lo farà nella Primavera del Brescia, nella quale rimase per sette anni e dove ottiene ottimi risultati. Qui dimostrerà di saper lavorare con i giovani, con lui cresceranno, tra gli altri, Viviano, Caracciolo, Guana e Santacroce. La ciliegina, però, è quel Marek Hamsik che scoprì lui e che oggi è protagonista in serie A. «Già da come palleggiava se ne intuiva il talento. Quando poi gli vidi fare dieci minuti di esercizi capii che avrebbe giocato in serie A». Al Brescia lavorò con Carletto Mazzone: «Diceva che non voleva fare l’allevatore ma l’allenatore, quindi tutti i giovani da far crescere li mandavano a me». Ad Arezzo la prima esperienza con “i grandi”, parentesi che si chiuse in modo brusco. «Eravamo a quattro punti dai play-off. Però decisi di andarmene perché avevo promesso altre cose». Da qui inizia il girovagare sui campi della D: a Darfo si ferma a un passo dai play off, ma anche qui se ne va per disaccordi con la dirigenza, a Seregno riuscì a salvare una squadra in condizioni molto critiche. «Ho la fama del personaggio scomodo» dice di sé, forse per il suo carattere fumantino che non scende a compromessi. De Paola quando c’è qualcosa che non va è uno che non le manda certo a dire, questa è una caratteristica che forse non ha giovato alla sua carriera. A Trento arrivò una retrocessione amara, ma anche molto sfortunata. «Vincemmo contro la seconda in classifica, ma un segretario fece un errore con un tesseramento e ci ritrovammo, di colpo, dall’avere tre punti in più ad averne quattro in meno». Alzano poi è storia recente, dell’anno scorso per essere precisi. Luciano De Paola arrivò con la squadra rivoluzionata, in crisi dopo quattro sconfitte consecutive. Riuscì a rivitalizzarla con due pareggi e cinque vittorie in sette gare, prima dell’epilogo amaro dei play-out persi contro il Borgomanero. Oggi c’è Piacenza con un accordo fino maggio, poi si vedrà. Riuscirà a rivitalizzare anche i biancorossi? De Paola sa già come fare: «Dobbiamo lavorare per subire meno gol. Il modulo? Questo Piacenza è costruito per un 4-3-3».
Marcello Astorri

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