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Calcio - Piacenza, addio al mitico Gibì Fabbri

A 89 anni ci ha lasciato Giovan Battista Fabbri, per tutti Gibì, allenatore che nel 1975 portò il Piacenza in Serie B con un calcio spumeggiante. Antesignano di una sorta di calcio totale, è stato il tecnico che ancora oggi viene ricordato dai...

A 89 anni ci ha lasciato Giovan Battista Fabbri, per tutti Gibì, allenatore che nel 1975 portò il Piacenza in Serie B con un calcio spumeggiante. Antesignano di una sorta di calcio totale, è stato il tecnico che ancora oggi viene ricordato dai tifosi per aver guidato la squadra forse più spettacolare nella storia biancorossa. Dopo aver giocato come ala e mediano anche in Serie A (fra le altre con Spal e Modena), intraprese la carriera di allenatore mettendosi subito in mostra per le sue idee moderne e innovative, sulla scorta del calcio totale olandese che fece epoca negli anni ’70.
Fabbri dopo l’esperienza a Piacenza, che si concluse con la retrocessione dalla B alla C al termine di una stagione incredibile, balzò agli onori della cronaca come allenatore del Lanerossi Vicenza, che portò in Serie A e quindi a un incredibile secondo posto nella stagione ’77-’78 alle spalle della Juventus. Fu proprio Fabbri che lanciò in orbita Paolo Rossi, intuendone le doti di rapinatore d’area e spostandolo da ala destra a centravanti.

IL RICORDO DI BONAFE': «UN TECNICO CH PRECORSE I TEMPI»
Intenso il ricordo di Patrizio Bonafé, che con il tecnico non ha vissuto solamente l’esperienza di Piacenza: «Nel ’70, quando ero al Cesena, Fabbri subentrò a metà campionato, poi con lui ho proseguito in biancorosso e quindi mi sono trasferito a Vicenza. Era uno di quei tecnici che precorreva i tempi, più che all’aspetto fisico del giocatore guardava la tecnica, gli piacevano calciatori agili e bravi con i piedi perché il suo era un gioco propositivo».
Bravo allenatore, persona dai modi garbati: «Era molto modesto, un uomo alla buona. Amava molto il lavoro che svolgeva e soprattutto ci credeva, caratteristica fondamentale per chi fa l’allenatore».
Ma la sua dote principale era un’altra: «Sapeva trasmettere i suoi concetti e le sue idee in modo molto diretto. In questo era unico, io ho avuto anche altri tecnici molto preparati, Liedholm su tutti, ma in nessuno ho mai trovato la capacità di Fabbri sotto questo aspetto. La società gli consegnava venti ragazzi di realtà e provenienze diverse, lui in meno di un mese li metteva insieme e li faceva ragionare tutti allo stesso modo. E’ fondamentale per raggiungere l’obiettivo».
Vinse anche il Seminatore d’oro, che spettava al miglior allenatore del campionato, ma non riuscì mai a sedersi sulla panchina di una grande squadra. «L’avrebbe meritato - precisa Bonafé - ma probabilmente non sapeva “vendersi” in maniera adeguata. Era un uomo di campo, pensava alla squadra e le pubbliche relazioni non facevano per lui. Vero che erano tempi diversi, ma anche allora contava molto proporsi nel modo migliore».
Chissà se aveva rimpianti, di certo è riuscito a creare gruppi solidi, visto che a distanza di decine di anni ancora oggi spesso le sue ex squadre si ritrovavano periodicamente a casa sua. «Un paio di volte all’anno lo raggiungevamo per trascorrere qualche ora in compagnia. Lui si affezionava a determinati tipi di giocatori, tanto che spesso quando cambiava squadra se li portava dietro anche nella nuova avventura»

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