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Piacenza Calcio

Adelante amigo. Giorgio Papais e un calcio che non c’è più: «Lo spogliatoio di quel Piacenza ti metteva in riga dopo 5 minuti»

Un viaggio fantastico nel Friuli degli anni '60 tra partite al campo, ciliegie rubate e la combriccola dei 15. Gli allenamenti con Zico: «Terribile marcarlo nelle partitelle, se gli facevo male mi arrestavano» e poi la grande avventura nei biancorossi. «Mi radevo la barba alle 3 di notte, il Moro se lo ricorda bene».

Se dico Cosenza?
«Quel giorno avevamo una forza dentro che avremmo potuto affrontare un branco di leoni. Siamo partiti per andare a vincere. Chiaro che non potevamo dirlo ma volevamo vincere, stop. Ha ragione Brioschi quando dice che Cosenza è solo il titolo di una storia iniziata anni prima».

E qui?
«E qui torniamo al gran lavoro fatto da Marchetti. Il trucco era lo spogliatoio. Quando arrivavi da noi o capivi subito le cose o te le faceva capire lo spogliatoio dopo 5 minuti. Marchetti inseriva pochi elementi perché così si facilitava l’ambientamento. E poi quando prendeva un giocatore sapeva tutto, perfino chi erano i suoi bisnonni».

Un gran gruppo.
«Carannante, la prima volta in ritiro con noi accusò dei mal di pancia all’interno del bosco, si fermava e poi si riuniva a noi nel giro successivo. Un giorno lo presi e gli dissi “basta eh”. Piovani era un altro che soffriva maledettamente quelle ripetute sulla salita. Devi sapere che il gruppo spariva dietro alla montagna e Cagni, dal basso, ci vedeva solo parzialmente. Un giorno sospettò che il Pio si stesse fermando là dietro e gli disse “Pio al prossimo giro portami il cono”. Corsi io per lui, lo presi, glielo misi in mano dicendogli “Pio, io ti aiuto qui e tu mi aiuti in campo a vincere”. Così nascono le squadre. Ci si aiuta nelle difficoltà».

I migliori anni Papais  6-2

Chi suda e chi ci mette il talento, giusto?
«Guarda in una squadra c’è chi finalizza il gioco, chi costruisce, chi difende e chi porta il secchio. Suppa aveva tre polmoni, io potevo correre una settimana. E il trucco è che in quello spogliatoio non c’era un solo cretino. Qualche screzio, come è naturale in un gruppo, ma nessun faceva cretinate. E qui torniamo sempre a monte, cioè alla grandezza di Marchetti nel costruire l’ossatura».

Il compagno più forte in quel Piace?
«Sarebbe facile dire Moretti e quindi rispondo Totò De Vitis. Mai visto nessuno in vita mia muoversi come lui dentro l’area di rigore. Faceva scuola e sui suoi movimenti hanno studiato in tanti».

Il Moro?
«A volte faticava meno degli altri in ritiro, solo perché è romano e i romani sono fatti così. A Moretti perdono tutto, non posso non perdonargli le cose è troppo forte e simpatico».

Ci ha detto che in ritiro, quando era in camera con te, ti alzavi alle 3 di notte a raderti la barba.
«Diciamo che mi alzavo alle tre di notte, gli toglievo le cuffie dalle orecchie perché lui ascoltava Renato Zero e io odiavo - e odio - quella musica. Poi è chiaro: musica fastidiosa, ho sempre dormito poco, il risultato era che mi facevo la barba nel cuore della notte».

Dai, partiamo con la mitragliata. Miglior centrocampista che hai affrontato?
«Senza dubbio Winter. Fisico, passo e tecnica. Aveva tutto. Lui davvero mi mandava in difficoltà».

I migliori anni Papais 5-2

Contro il Napoli il gol più bello?
«Il più bello ma non il più difficile. La domenica successiva ci riprovai contro il Genoa e presi la traversa. Ne feci uno simile, ancora più difficile, in un Conegliano-Pordenone a 17 anni. La bomba da lontano è un gol che devi avere nelle corde, se sbagli a calciare rischi una figuraccia colossale. Il più difficile in assoluto lo segnai contro il Cosenza in Serie B, la partita finì 1-1».

Il momento più brutto quando andasti in arresto cardiaco contro l’Inter?
«Guarda di quell’episodio posso raccontarti poco perché non mi ricordo nulla. Stavo liberando l’area di testa e poi sbaaam, tutto spento, mi sono svegliato in ospedale dove imprecavo perché volevano farmi una tac alla testa e io avevo male alla spalla. Me lo raccontò in lacrime il dottor Terzi. Per fortuna di tutto ciò se ne accorse Mino Lucci. Vide che ero a terra e non mi rialzavo, mi preso subito perché aveva capito la gravità della situazione e mi girò la testa».

Attaccante più forte che hai visto sul campo?
«Non posso risponderti perché ne ho visti davvero tanti in quegli anni e non saprei chi nominare».

Difensore più forte?
«Il calcio cambio, anche in difesa, ma il migliore per me rimane Pietro Verchowod».

Cosa vuol dire essere un centrocampista? Io ascolto in religioso silenzio perché, per me, è il ruolo cardine. Non ci sono grandi squadre senza grandi centrocampisti.
«E’ il radar. E’ un ruolo in cui devi saper fare tutto. Devi difendere, correre, impostare e dare sostegno all’attacco».

Ci vuoi dire qualcosa?
«Sì. A volte capitava col Piacenza che cambiassimo direttamente noi in campo qualcosa, perché si percepiva che in quella zona c’erano dei problemi che potevamo risolvere con qualche accorgimento immediato».

E Cagni?
«Capitava di rado perché se cambiavi senza passare da Cagni rischiavi grosso - dice ridendo - però a volte è successo».

Ad esempio?
«Cosenza, partita che vale la A. Siamo avanti 1-0 e Balleri inizia a spingere sulla fascia, il Brio va in difficoltà. Vado da lui e gli dico “spostati in mezzo che ci penso io”. Alla prima azione ribalto Balleri. Lo guardo e gli dico “se passi la metacampo un’altra volta non la passerai mai più. Intesi?”. Non l’ha più passata».

Conclusioni?
«Ha ragione Moretti: nel calcio c’è “l’attrezzo” il pallone. Se sai giocare allora puoi fare. Ti ricordi Piacenza-Foggia?».

I migliori anni Papais 4-3

Ovvio, La Mecca del nostro calcio.
«Ricordati che Cagni decise di giocare a zona contro Zeman alla domenica mattina, all’ultimo istante. E l’abbiamo fatto perché eravamo tutti capaci di giocare a pallone. Sennò non avremmo mai potuto farlo. Una volta Luporini mi mandò a vedere un ragazzo nelle giovanili del Rimini, me ne andai dopo il riscaldamento, era scoordinato. Si vedeva fin dal primo tocco».

Ti saluto dicendoci una banalità: anni migliori?
«Il nostro 12esimo uomo era Nicola Pinotti. Penso ad altre persone come a Mandrini e magari con la memoria mi sfugge qualcuno. Era un’orchestra perfetta dall’inizio alla fine. Ricordati: quello spogliatoio, quella società, mettevano in riga tutti nel giro di 5 minuti. Persone migliori».

Lo sai che forse abbiamo battuto il Pio con le domande? Lì sta il mio record, qui le conterò messo giù telefono ma forse forse…
«Il Pio l’ho sempre battuto, a caccia e a pesca».

Messo giù il telefono, invece, ci ricordiamo di Piazza Grande. Lucio Dalla. “Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è”. Non lo richiamiamo, non sia mai che facciamo la fine del Moro quando ascoltava Renato Zero con Giorgione che si radeva la barba alle tre di notte.

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