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Martedì, 28 Marzo 2023
Dilettanti

L'addio al calcio di Rantier: «Schwoch, Adailton e Italiano i compagni più forti, con il Perugia nei play off il gol più bello».

L'attaccante francese domenica ha giocato la sua ultima partita con l'Agazzanese. «Il mio futuro? Di certo non farò l'allenatore. Qualche proposta ce l'ho già, a breve deciderò»

Immagine REALAB-2Dopo oltre 20 anni ad alto livello, partendo dal Nimes in Francia per diventare subito capocannoniere del campionato Primavera con l’Atalanta, squadra che lo farà esordire in Serie A, Julien Rantier dice basta. Smette con il calcio giocato lasciandosi alle spalle una valanga di stagioni e tanti gol fra Serie B e Serie C, prima di scendere fra i dilettanti dove proprio domenica ha annunciato di voler terminare la carriera dopo l’ultima gara con l’Agazzanese. «Una scelta - spiega l’attaccante francese classe 1983 - maturata da tempo. Adesso è tutto bello perché ci siamo salvati, ma quest’anno ho dovuto fare i conti con due infortuni ed era tempo di dire basta. L’obiettivo era rimanere in categoria, ci siamo riusciti e lascio nel migliore dei modi. Poi è chiaro, una parte di me non vorrebbe mai smettere, ma l’uomo maturo ha capito che è arrivato il tempo di chiudere l’esperienza da calciatore».

Se ti guardi indietro cosa vedi?

«Tantissime cose belle che restano nel cuore, anche grazie a molti sacrifici. Vedo un bambino con una valigia piena di sogni che è riuscito a compiere un bel percorso lontano da casa, in un altro Paese. E per questo devo dire un grazie enorme anche ai miei genitori».

Da domani cosa ti mancherà maggiormente?

«Lo spogliatoio, gli allenamenti, la tensione della vigilia. So che queste cose saranno dure da superare».

E cosa invece non ti mancherà?

«La falsità della gente: ne vedo davvero tanta, nel calcio come nella vita. Ma io sono sempre stato me stesso e posso andare a testa alta perché ci ho messo la faccia e questo mi ha permesso di trovarmi benissimo in tutte le squadre in cui ho militato».

La gioia più grande provata da giocatore?

«Ce ne sono state parecchie. Se devo sceglierne una dico l’esordio in Serie A nel 2003 in Atalanta-Como, perché era il coronamento di un sogno che coltivavo fin da bambino. Poi anche le convocazioni con le nazionali giovanili».

E qual è stato il rammarico maggiore?

«Non ne ho, perché da me stesso ho sempre preteso il massimo. Ovunque sia stato ho sempre dato tutto quello che avevo a disposizione, di più davvero non avrei potuto fare».

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