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Da Montevideo a Fiorenzuola sognando Recoba e con la foto di zio Schiaffino in tasca. La storia di Daniel Bisogno

Il progetto, mai realizzato, dei rossoneri nel 2001: Kempes alla guida di una squadra tutta sudamericana. A distanza di quasi 20 anni abbiamo incontrato uno dei protagonisti di quel "sogno" mai realizzato

A Montevideo c’è chi conosce la strada per Fiorenzuola. E potrebbe ritrovarsi a raccontarvela. Con la voce che unisce la cadenza spagnola all’italiano, le emozioni nascoste dietro ad ogni sillaba.
La voce è quella di Daniel Bisogno, uruguaiano di nascita ma con il doppio passaporto. Un passaporto che portava in tasca insieme alla foto di suo zio, Juan Alberto Schiaffino, nell’estate del 2001. Un timbro prima del volo Montevideo-Roma e da lì rotta per la Val d’Arda.
Quell’estate Fiorenzuola si era ritrovata improvvisamente vicina al Sud America: l’imprenditore lombardo Alessandro Aleotti, insieme alla società Global Foot Sport, era intenzionato a rilevare la proprietà rossonera dell’allora presidente Antonio Villa e lanciare in serie C2 una rosa composta quasi interamente da giocatori argentini e uruguaiani. Tra di loro Daniel, centrocampista con dei trascorsi nella nazionale giovanile del suo paese. Dove si era ritrovato a passare il pallone anche a Francescoli. Sognando di raggiungere Recoba.

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«Appena arrivati abbiamo alloggiato in un albergo vicino a Brescia: sembravamo quasi calciatori di serie A - racconta Daniel - L’attrazione principale era il nostro allenatore Mario Kempes che aveva vinto il Mondiale del 1978 con l’Argentina diventando capocannoniere. Noi eravamo una ventina di giocatori argentini e uruguaiani, non molto conosciuti». Tra loro c’era chi era passato in Inghilterra, come il difensore Gaston Romancikas, ed il portiere Guillerme Galliardi che indossava una maglia nera e bianca, rigorosamente a maniche lunghe, proprio come i capelli che gli cadevano sulla schiena.
L’attenzione mediatica cresce esponenzialmente di pari passo con le chiacchiere di paese: Fiorenzuola guarda con un pizzico di diffidenza misto a curiosità, tipicamente destinato ai “forestieri”, quei ragazzi che si aggirano per le strade: c’è chi cerca un paio di scarpini nuovi, chi scrive dalla tastiera di un computer alla famiglia o alla fidanzata. Tra un sorso di mate ed i palloni da recuperare fuori dal campo.

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«Avevo il sogno di giocare in Italia: quando ero a Montevideo guardavo sempre la RAI e tutti i fenomeni della serie A, ero convinto di poterci arrivare. Fin da piccolo sono stato nel giro della nazionale prima di un infortunio alla caviglia che mi ha condizionato la carriera: ero una promessa, poteva andare meglio ma ho comunque avuto la fortuna di vivere la mia passione».
Daniel ricorda quei giorni spesi tra allenamenti e l’attesa di un passaggio di proprietà che sembrava non trovare l’ultimo atto. Manana non era più semplicemente “domani”, ma il sogno che si concretizzassero la firma, il tesseramento e la maglia rossonera nello spogliatoio del Pavesi. «Tutti avevamo la speranza che arrivasse il passaggio di proprietà: andavamo a vedere le partite del Fiorenzuola con l’illusione di poter essere in campo». Un’illusione che svanisce quando anche l’ennesima riunione si chiude senza fumata bianca: il Fiorenzuola resta a Villa, nessun passaggio da balon a fùtbol.
«Siamo rimasti in quattro ad allenarci con mister Querin (allenatore del Fiorenzuola per le prime sei giornate del campionato 2001/02, NdR): eravamo vicini al tesseramento ma la Global ha fatto marcia indietro. Ho avuto però la fortuna di farmi vedere da altre squadre e l’opportunità di restare in Italia».

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Per Daniel il viaggio prosegue verso il lodigiano, con la maglia bianconera del Fanfulla ad aspettarlo. «Ho passato due anni in quella squadra ed ho bei ricordi di Lodi, conservo ancora foto e ritagli di giornale. Sono andato poi in Liguria, sempre in serie D, e in una stagione ho segnato diciassette gol vincendo il premio di miglior straniero».
A riportarlo in Uruguay sono la nascita della figlia ed alcune proposte della Primera Divisiòn: il cuore però resta in Italia con il ritorno tra i dilettanti. Questa volta in una Sardegna che Daniel attraversa da Nord a Sud: sempre sulla trequarti, con il pallone ai piedi.
«Sono tornato nel mio paese nel 2011 - conclude Bisogno - Ora sono allenatore delle giovanili del Defensor Sporting di Montevideo, l’Atalanta dell’Uruguay: da qui sono usciti giocatori come Caceres e Maxi Gomez. Sto seguendo da vicino quello che succede in questi giorni in Italia, mi sento uno di voi».
Se un giorno vi ritroverete a Montevideo chiedete di Daniel Bisogno: c’è chi vi parlerà di Schiaffino e Recoba, c’è chi vi dirà quanto è vicina Fiorenzuola.
 

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