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Giovedì, 25 Aprile 2024
Calcio giovanile

Scevi: «Sempre più complicato il ruolo dei tecnici del settore giovanile. Ma vedere la felicità dei bambini a fine partita è impagabile»

L'allenatore dei Pulcini della Libertaspes: «Ci chiedono di essere educatori e assistenti sociali, ma non è il nostro ruolo. Il compito educativo spetta alla famiglia»

Rapporto con i genitori, aggiornamenti costanti, direttive societarie, ruolo di tecnico ma anche di educatore. Fare l’allenatore è sempre più complesso, soprattutto nello sport giovanile. Perché, contrariamente a qualche tempo fa, adesso non si chiede più solamente di insegnare ai ragazzi la disciplina sportiva, ma obiettivi e soprattutto aspettative sono molto più ampie e, spesso, anche eccessive.

Cesare Scevi è alla guida dei Pulcini della Libertaspes, ma alle spalle ha esperienze in vari ruoli con il Pro Piacenza e la Junior Pontolliese, oltre a una lunga trafila nel calcio dilettantistico locale.

«In effetti – spiega Scevi – adesso si pretende che i tecnici insegnino non solo calcio, ma anche educazione e rispetto. Però questo non è il nostro compito: noi dobbiamo spiegare cosa significa giocare in una squadra e far rispettare le regole all’interno del gruppo. Ognuno deve avere le proprie responsabilità e il ruolo educativo tocca alla famiglia. Per quanto mi riguarda io sono l’allenatore e provo a spiegare come si gioca a pallone, se c’è un problema faccio il possibile per affrontarlo e risolverlo ma non sono un assistente sociale. Non ho né la qualifica né le qualità».

Poi va oltre. «Di natura i bambini, specie quelli più piccoli, sono spesso egoisti. Se andiamo in una squadra di Pulcini non c’è nessuno che rimanga in panchina volentieri, vorrebbero tutti giocare sempre. Invece quando sono in una squadra devono piano piano capire che davanti all’“io” il tecnico deve sempre mettere il “noi”, che indossare la stessa maglietta significa aiutarsi reciprocamente. Questa è una delle mansioni dell’allenatore: creare un gruppo».

Operazione più facile a dirsi che a farsi. «Mettere d’accordo tutti è complicatissimo, entrano in gioco diversità sociali, fisiche e tecniche. Ma per noi questa è la sfida più bella da affrontare: far coesistere tante persone differenti. Riuscirci significa anche raggiungere una valenza sociale, perché creiamo amicizie che vanno oltre lo sport».

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