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Tommasi: «Evitiamo di caricare i figli con troppe pressioni»

Ci sono le storie di piacentini doc come Matteo Rastelli, bomber nato a Fiorenzuola e cresciuto a Cortemaggiore, quelli che nella nostra città ci sono arrivati da giovanissimi calciatori, come Gabriele Ballotta, e chi ha conosciuto Piacenza...


Ci sono le storie di piacentini doc come Matteo Rastelli, bomber nato a Fiorenzuola e cresciuto a Cortemaggiore, quelli che nella nostra città ci sono arrivati da giovanissimi calciatori, come Gabriele Ballotta, e chi ha conosciuto Piacenza iniziando dalla Serie B come Gianmarco Bozzia.
Sono alcuni dei “999” che non ce l’hanno fatta a diventare campionissimi nello sport, nonostante qualità tecniche sopra la media e una voglia di sfondare che li avrebbe potuti portare a lungo sotto le luci dei riflettori. Le loro vite sono raccolte nel libro “999 - Le storie vere dei campioni mancati” scritto da Paolo Amir Tabloni e presentato alla Cattolica da Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione italiana calciatori. «Tante volte la differenza la fa la persona che c’è dietro il giocatore, anche ad altissimi livelli» ha spiegato lo stesso Tommasi in un pomeriggio in cui si è parlato di sogni infranti e di famiglie troppo pressanti nei confronti di potenziali calciatori.

Oltre all’autore del libro sono intervenuti, coordinati da Mauro Molinaroli, la psicologa Francesca Cenci e due vecchie conoscenze del calcio piacentino: Andrea Di Cintio, già biancorosso e attualmente allenatore dei Giovanissimi dell’Atalanta e Massimo Cerri, direttore sportivo del Cosenza.
«Viviamo in un’epoca - ha ammonito il numero uno dell’Associazione calciatori all’evento organizzato da Studio Mood - in cui tutto ci viene presentato come raggiungibile. E chiunque sul divano di casa pensa di poter replicare quanto viene fatto sui campi più importanti del pianeta. Invece bisogna capire che non basta essere dei bravi calciatori per giocare tra i professionisti».
“Uno su mille ce la fa” cantava Gianni Morandi, degli altri 999 scrive Paolo Tabloni, «ma bisogna parlare anche di tutti quei genitori che speravano di avere un campione e invece, forse troppo tardi, scoprono di avere un figlio. A volte il fallimento sportivo viene vissuto meglio dai diretti interessati che dalla famiglia».

Ma soprattutto, e questo è stato sottolineato a più riprese durante il pomeriggio, chi non sfonda nello sport può comunque essere in grado di farlo nella vita. «Anche perché - sono le parole della psicologa Cenci - è molto difficile per un ragazzo giovane gestire i momenti in cui notorietà e soldi ti travolgono all’improvviso. Spesso sono i genitori a caricare i bambini di eccessive pressioni e capita non di rado che simili comportamenti ottengano l’effetto contrario, allontanando i figli dallo sport».
Per questo è fondamentale il ruolo dei genitori, come ha sottolineato Cerri raccontando di una famiglia che gli ha fatto capire quanto fosse importante portare avanti anche lo studio oltre all’attività sportiva. «Parliamo di ragazzi che a 16-17 anni hanno un grande bisogno di essere sorretti e guidati, perché le generazioni attuali sono più esposte delle nostre a esempi fuorvianti».

Le insidie sono tantissime, dunque a volte non basta l’impegno dei genitori. Ci vuole anche quello delle società come l’Atalanta, «la sesta al mondo - ha raccontato Di Cintio - come numero di ragazzi delle giovanili lanciati nelle prime squadre di tutta Europa». Eppure a Bergamo non si guarda solo all’aspetto agonistico. «Domenica, mentre la formazione di Gasperini vinceva con la Roma e fuori dallo stadio c’erano persone che provocavano incidenti in nome del tifo, dirigenti e giocatori delle giovanili erano in riunione per discutere dell’orientamento scolastico di ragazzini che il prossimo anno frequenteranno la prima superiore. Perché solo lo 0,2 per cento di chi gioca a calcio arriva in Serie A e solo lo 0,6 per cento in Lega Pro».
Questo, deve essere chiaro, non significa togliere i sogni ai bambini, ma spiegare che «anche se ce la fai l’esperienza nel calcio dura poco. E quando concludi l’attività agonistica c’è ancora tanto da vivere. Per questo la scuola diventa fondamentale».

Concetto ribadito e sottolineato da Tabloni, non solo autore del libro ma anche uno di quei 999 che la ribalta l’ha solo sfiorata oppure l’ha toccata venendo poi scaraventato lontano. «Tutti hanno qualcosa da insegnare; in tanti a metà intervista si sono messi a piangere, ma c’è anche chi, magari persone di 60-65 anni, non se l’è sentita di raccontarmi la propria storia. Il segnale è chiaro: non hanno ancora digerito quello che ritengono uno schiaffo troppo forte. Io invece sono riuscito a scrivere la mia e quando ho finito mi sono sentito un vincitore».

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