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Basket - Mambretti: «Porto un grande entusiasmo»

Lui è Alessandro Mambretti ma per tutti, qui a Piacenza, è semplicemente il Mambro. Il Rambo della nostra pallacanestro. Lo abbiamo conosciuto come un guerriero indomabile durante gli anni della storica cavalcata della Ucp, con lui sono arrivati...

Lui è Alessandro Mambretti ma per tutti, qui a Piacenza, è semplicemente il Mambro. Il Rambo della nostra pallacanestro. Lo abbiamo conosciuto come un guerriero indomabile durante gli anni della storica cavalcata della Ucp, con lui sono arrivati record e promozioni, la sua grinta ha trascinato centinaia di persone al PalaAnguissola, tutti li, pronti a balzare in piedi ad ogni canestro.
Da quei momenti sono passati alcuni anni, però il “Mambro” continua a rimanere una figura chiave del nostro basket. Smessi gli abiti da atleta, ha indossato quelli da allenatore, prima delle giovanili all’interno del Piacenza Basket School e poi, dopo le dimissioni di Marco Gandini, del Selta Piacenza Basket Club in Serie D.

Partiamo dal momento in cui hai saputo che avresti sostituito coach Gandini. Come hai preso la notizia?

«Dentro di me ho vissuto due situazioni contrastanti: da un lato ero stimolato perché non ho mai allenato una formazione senior, e questa cosa mi motivava parecchio. Dall’altro ero un po’ combattuto perché avevo intenzione di tornare, fra qualche settimana, a calcare il parquet con i ragazzi. Si stanno allenando bene ed avrei voluto dare il mio contributo da giocatore. Ora darò il massimo stando a bordo campo».

Come è andato questo primo periodo di allenamenti? Ci possono essere stati contraccolpi a seguito delle dimissioni di Gandini?
«Sinceramente non penso ce ne siano stati, chi fa il giocatore è abituato a lavorare duramente in palestra e per lui conta che la situazione non cambi, che l’entusiasmo non vada disperso. E da questo punto di vista, da noi nulla è cambiato».

Sei arrivato proprio in un periodo carichissimo di impegni, con una serie di partite ravvicinate che vi obbligano a fare gli straordinari. Hai qualche ricetta per i ragazzi?
«Siamo una squadra complessivamente giovane, che non può permettersi di andare sotto di troppi punti perché, mancando quel bagaglio di tecnica che hanno altri team, poi facciamo molta fatica a “rialzarci”. Noi dobbiamo puntare sulla nostra atleticità, poi nei momenti di difficoltà è fondamentale affidarci ai giocatori che hanno più esperienza per non sprecare quanto di buono fatto fino a quel momento».

Quali sono i punti di forza del Selta Piacenza Basket Club?
«L’imprevedibilità. Siamo capaci di tutto, possiamo avere minuti di pura follia, ma anche interi parziali in cui esprimiamo un bel basket, frizzante e coinvolgente. Poi certamente abbiamo alcune qualità individuali importanti, penso a Filippo Antozzi e Paolo Pirolo, che vanno sfruttati al meglio all’interno di un gruppo dove tutti devono sentirsi valorizzati e motivati. In queste ultime uscite sono rimasto molto soddisfatto delle prove di Pene e Stecconi, due giovanissimi in crescita: significa che il lavoro in palestra va nella giusta direzione. Nelle prossime partite spero di recuperare anche Marco Sambugaro, lui sa dare la carica, e come si è visto in occasione dell’unica vittoria, i ragazzi hanno doti considerevoli, bisogna che si appoggino a chi ha esperienza, come il nostro “Sambu”».

Quali sono invece gli aspetti su cui bisogna lavorare di più?
«Dovrò essere bravo a fare capire al gruppo che il sacrifico e l’impegno costante in settimana pagano sempre. I risultati poi possono arrivare o no, in fin dei conti questa Serie D è un modo per dare continuità al settore giovanile, è un modo per permettere ai nostri giovani di misurarsi con un campionato serio e difficile a livello senior. Sta a loro poi decidere se continuare anche in futuro».

A proposito di settore giovanile, tu hai sposato da subito questo progetto, e già negli anni scorsi hai allenato i giovani biancorossi. Che valutazioni hai sul vivaio Piacenza Basket School?
«Da inizio anno ho visto un miglioramento impressionante grazie a Fabio Corbani e Marco Sambugaro, che ringrazio per essere rimasti. Lavorare con loro ti porta inevitabilmente a crescere molto più velocemente che in qualsiasi altro contesto, e mi riferisco sia ai ragazzi sia agli allenatori, a me e Mara Boglioli in primis. Grazie a questo progetto, possiamo concentrarci sulla base della pallacanestro piacentina, e questo è un bene prezioso per la città. L’ideale sarebbe stato iniziare questo cammino l’anno scorso, ma c’erano problemi organizzativi. La scomparsa della squadra di LegaDue è stata un duro colpo per tutti, spero si trovino i fondi per riavere un team ad alto livello, ma intanto l’idea di aver sviluppato il settore giovanile è un grande passo per la ricostruzione del movimento”.

Chiudiamo con due note personali. La prima: che cosa ti manca di più dell’essere un giocatore?

«L’adrenalina della settimana, l’adrenalina dell’attesa della partita, l’adrenalina della partita. Mi manca essere sul campo, lottare, essere parte dello spogliatoio con cui si condividono gioie e dolori».

La seconda: quali sono gli aspetti più piacevoli dell’essere allenatore?
«Le soddisfazioni a volte sono più profonde: vedere un tuo ragazzo che migliora ti dà una gioia più a lungo termine di quella che ti può lasciare il campo. Al tempo stesso però da coach hai maggiori responsabilità, soprattutto quando si perde. Lasciatemi dire che amo la pallacanestro in tutte le sue forme, il mio desiderio era restare nell’ambiente, e “studiare” da allenatore con persone come Fabio e Marco mi offre l’opportunità di concentrarmi su cose che magari da giocatore davo per scontate, per me è davvero un’occasione unica. E se qualcosa dovesse andare male, sarei disposto anche a fare l’arbitro pur di non staccarmi da questo insuperabile mondo».

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