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Zacconi (Medici sportivi): «Il rischio zero non esiste. Se i numeri continueranno a migliorare si potrebbe lavorare alla ripresa per settembre»

Ortopedico e socio aggregato dell'Associazione Medico Sportiva di Piacenza: «Assolutamente da evitare le fughe in avanti, non siamo ancora fuori dal tunnel. Aspettare il vaccino per la ripresa? Non lo credo realistico. La mascherina durante l'attività? E' controproducente, si rischia di svenire»

Pietro Zacconi è uno che nello sport vive da anni. Non da spettatore ma da protagonista per curare pallavoliste («ho iniziato che la squadra si chiamava solo Rebecchi per arrivare fino al tricolore con la Rebecchi Nordmeccanica»), rugbysti, protagonisti dell’atletica ma in generale è difficile trovare uno sportivo piacentino che non sia passato nel suo studio per un consulto o per risolvere un problema fisico più complesso. Specialista in ortopedia è membro, come socio aggregato, del direttivo dell’Associazione Medici Sportivi di Piacenza, dunque il più adatto a spiegarci come bisogna comportarsi per la ripresa dell’attività a livello individuale e soprattutto quali sono le linee guida in discussione per l’eventuale ripartenza delle discipline di squadra.

«Partiamo da un presupposto – inizia Zacconi – gli esperti epidemiologi mondiali si trovano in difficoltà nel valutare il virus, ha caratteristiche che sfuggono all’inquadramento “classico” e per questo anche il mondo sportivo vive di settimana in settimana. Ci sono esperti che danno risposte completamente differenti sulla ripresa delle attività: ho sentito qualcuno parlare di 2025 e chi invece ritiene sia possibile una sorta di pseudonormalità fra un mese o due. Logico che con tutte queste opinioni discordanti le persone siano disorientate».

Se dovessimo piantare qualche paletto certo, cosa dovremmo rispondere a dirigenti e atleti che attendono risposte?

«Al momento è necessario affrontare step a periodi molto ravvicinati, siamo in una fase complicata e la situazione può variare velocemente. Però ritengo sia indispensabile iniziare almeno a programmare quello che sarà il vero inizio dell’anno sportivo, che a livello di base per quasi tutte le discipline normalmente coincide con il ritorno a scuola dopo le vacanze estive».

Ritiene che a settembre si potrà riprendere a praticare anche sport di squadra?

«A oggi nessuno si può sbilanciare, ma io faccio un discorso logico. La pandemia, con l’eccezione della Cina, nel mondo è iniziata poco più di due mesi e mezzo fa. A settembre mancano tre mesi e mezzo, in questo periodo siamo riusciti ad avere segnali di un controllo maggiore, se proseguiamo su questa strada alla fine dell’estate la situazione potrebbe essere relativamente tranquilla. Leggevo che i ricoveri in terapia intensiva sono scesi da 4mila a 1000, anche solo rispetto a un mese fa abbiamo fatto buoni passi in avanti. Attenzione, chiariamo bene una cosa: non sto dicendo che l’emergenza sia finita e che possiamo abbassare la guardia, questo è da escludere nel modo più assoluto. Però mi sembra che se i miglioramenti proseguiranno anche nelle prossime settimane non è utopistico pensare a una ripresa, con tutte le precauzioni del caso, a partire da settembre».

C’è chi vorrebbe ripartire anche prima, visto che il numero dei contagiati è in costante diminuzione.

«Oggi dobbiamo procedere a piccoli step, ragionare settimana dopo settimana. E allo stato attuale non è possibile pensare di anticipare il via libera, se non per discipline particolari».

Intende dire che qualcuno potrebbe iniziare dopo altri?

«Questo non tocca a me deciderlo, ci sono scienziati che hanno sott’occhio la situazione complessiva. Però non è un segreto che una gara di atletica, soprattutto quelle in corsia, sia meno pericolosa di uno sport di contatto. Faccio l’esempio di due estremi: i 100 metri disputati con uno spazio libero fra un atleta e l’altro hanno un rischio ridottissimo, il rugby con sedici persone in mischia, che sono sottoposte a uno sforzo abbracciati in una superficie ristrettissima è quanto di più simile a un assembramento possa esserci. E infatti la palla ovale è stata la prima disciplina a capire che sarebbe stato meglio fermarsi».

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