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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Lo sport ai tempi del Coronavirus - Lo psicologo Giulio Costa: «Importante vivere lo spogliatoio con le videochiamate»

«Non perdete l’“incontro con l’atleta”, ovvero con metodicità mantenete riti che vi permettano di non perdere contatto con la nostra identità sportiva»

Da qualche mese anche lo sport è entrato in una dimensione nuova, del tutto inedita. Che nessuno poteva prevedere e tantomeno affrontare. Una dimensione che ha richiesto per tutti gli atleti un adattamento forzato ponendo un enorme punto interrogativo sulle stagioni sportive e di conseguenza sul futuro che è diventato nebbioso ed incerto.

La quarantena ha colpito soprattutto i rapporti più intimi, lo “spogliatoio”. Quella componente relazionale cardine di ogni sport, della quale abbiamo parlato con Giulio Costa, psicologo e psicoterapeuta nonché Coordinatore del Servizio di psico-oncologia del Dipartimento oncologico e cure palliative dell’ASST di Lodi.

«Adempiendo alle necessarie disposizioni governative e sanitarie, atleti di ogni categoria e specialità sportiva da diverse settimane non solo hanno sospeso allenamenti, gare e campionati, ma ancora oggi non sanno quale sarà il destino della stagione in corso - spiega Costa - Numerose sono le società sportive che fin da subito hanno fornito ai propri atleti tabelle personalizzate di allenamento, preparazione atletica, nutrizionali, per garantire un minimo di continuità, ma ciò che più sta venendo a mancare sono le dinamiche relazionali di squadra e con lo staff».

Non c’è il campo da gioco, manca l’appuntamento con la cena di squadra al termine dell’allenamento. Ma non per questo, anche in tempi piuttosto complessi, le dinamiche relazionali si fermano: hanno necessità di trovare un antidoto. Costa ha provato ad individuare alcuni possibili rimedi.

«Le neuroscienze ci dicono che la mente è relazionale: cresce ed evolve all’interno delle relazioni e anche la performance sportiva, per essere allenata ha bisogno di uno spazio relazionale che oggi ci è necessariamente privato cosa può aiutare allora un’atleta in questo tempo sospeso in cui vengono a mancare le routine interiorizzate per anni, come gli allenamenti settimanali e la partita nei weekend? Non perdete l’“incontro con l’atleta”, ovvero con metodicità mantenete riti che vi permettano di non perdere contatto con la nostra identità sportiva (seguire le tabelle di allenamento e mantenimento fisico, indossare la divisa di squadra, mettere mano agli oggetti legati alla specifica disciplina sportiva, rivedersi nei video delle partite…).

Identificate e perseguite piccoli obiettivi sfidanti all’interno della giornata o della settimana tenendo traccia del raggiungimento, fallimento e progressi su un diario. Questo sia per obiettivi atletici e non.

Mantenete il legame con la squadra. Come dicevo, nulla sostituisce l’immergersi in una relazione faccia a faccia, ma in questo tempo sfruttare la possibilità di incontri video “ufficiali” con lo staff tecnico, e “non ufficiali” solo tra compagni di squadra è molto importante per portare un po’ di spogliatoio nelle vostre case.

Allenate i gesti atletici attraverso tecniche come la visualizzazione cercando di ricreare nella mente specifiche sequenze tecniche: questo esercizio oltre ad essere allenante in maniera comprovata, offre benefici anche sul fronte del rilassamento e della gestione dell’ansia in settimane così complesse come quelle che stiamo vivendo.

Infine, incontrate i vostri eroi: leggete o guardate film, video e documentari che raccontano la storia dei vostri modelli sportivi a cui vi ispirate ed identificate».

Se professionisti e dilettanti stanno provando faticosamente a costruire questa dimensione la situazione è ancora più difficile per gli atleti delle giovanili e per gli sportivi affetti da varie forme di disabilità. A loro Costa dedica un pensiero ulteriore, non solo per il momento attuale, per l’”adesso” ma anche e soprattutto per il “dopo”.

«Da psicologo non posso non rivolgere un pensiero a delle categorie sportive di cui si è poco parlato in queste settimane: mi riferisco al mondo giovanile e a quello degli atleti affetti da varie forme di disabilità. In queste settimane bambini e ragazzi non solo sono stati privati – come è giusto che sia – della scuola come spazio di apprendimento didattico e relazionale, ma inevitabilmente anche dei campi di calcio, delle palestre, dei palazzetti, delle piscine e del fondamentale potere espressivo ed educativo che lo sport ha nel ciclo di vita di un ragazzo. Lo stesso vale per chi soffre di una forma di disabilità, sia essa cognitiva, psichica o fisica, e che nell’attività sportiva avevano trovato anche un importante spazio terapeutico e di cura: teniamo vivo il contatto con loro e le loro famiglie affinché non si sentano soli. Per ripartire avremo bisogno anche del loro entusiasmo e determinazione».

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