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Venerdì, 19 Aprile 2024
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A cura di Fabrizio Milani

Blog sportmovie - "Creed": Rocky torna sul ring per allenare il figlio di Apollo

Dall'altra parte del mondo un ragazzino cresce guardando i film di Rocky, ma con il mito del suo antagonista, il leggendario Apollo Creed. Stallone, candidato all'Oscar, vince il Golden Globe come miglior attore non protagonista nel film diretto da Ryan Coogler

Nel 2016 Sylvester Stallone, ritirando il Golden Globe come migliore attore non protagonista per "Creed", ha ringraziato Rocky Balboa. Lo ha ringraziato per essere stato "il suo migliore amico immaginario di tutta una vita". Ed è vero. Rocky è una creatura di Stallone, creato a sua immagine e somiglianza. Stallone è Rocky, gli basta indossare il cappello nero, indossare uno sdrucito cappottone, fasciarsi il pugno destro ed eccolo lì. Forse Rocky è anche amico mio, amico nostro. Siamo cresciuti guardando i suoi film, ascoltando i suoi discorsi, sentendo la sua fatica. Lo abbiamo visto anche perdere, vincere per poi perdere ancora. Lo si è visto piangere e sorridere mantenendo comunque il retrogusto dolceamaro che poi altro non è che il sapore della sua (nostra) vita. E’ riuscito a farci sentire accanto a lui più di una volta, vedere un suo film è sempre come sentirsi parte di una tavolata con un solo amico, magari quello che vedi una volta l'anno, ma che è come se vedessi tutti i giorni. E invece accade che, dall'altra parte del mondo, un ragazzino mio coetaneo cresca a sua volta guardando i film di Rocky, ma con il mito del suo antagonista, il leggendario Apollo Creed.

Intendiamoci bene, Apollo come pugile vale dieci volte Rocky ed è forse questo che nel giovane Ryan Coogler ha fatto scattare una molla che lo ha tormentato da sempre. Forse Ryan non ha mai digerito la morte di Apollo sul ring per mano di Ivan Drago, forse ha pianto e sofferto più di noi, perché magari in Apollo rivede se stesso ogni volta che si guarda allo specchio. Sì perché il giovane Ryan, proprio come Apollo è nero. Intraprende gli studi cinematografici e dopo una manciata di cortometraggi che gli fruttano qualche trofeo nei festival "indie"  decide di giocare il carico a neanche 29 anni. Scrive il soggetto di "Creed" e lo porta in mano a Stallone che, dopo un primo tentennamento decide di accettare questa sfida. Riportare sullo schermo Rocky questa volta come spalla, tenendolo nell’angolo non più sul ring, ma fuori.

Non si considera questo film come un settimo capitolo della saga, qui siamo nell'ordine dello spin-off ma ciò non sminuisce assolutamente il progetto che tanto era ambizioso quanto pericoloso. Trattare i mostri sacri di Hollywood è sempre materia altamente scottante ma Coogler ne esce assolutamente a testa alta come il suo protagonista Adonis. La trama è semplice, il figlio di Apollo Creed, ambizioso pugile dilettante, decide di andare alla volta di Philadelphia per farsi allenare da Rocky Balboa in persona nel tentativo di entrare nel mondo del pugilato professionistico, sua unica fonte di sostegno.

In questa storia c’è tutto il percorso dello stesso regista. Possiamo ritenere infatti questo "Creed" una sorta di metafora autobiografica del regista stesso che da giovane nero sconosciuto, come il protagonista, si mette nelle mani di Stallone nella speranza di riuscire a realizzare il suo sogno, proprio come il giovane Creed. Il risultato sportivo del match alla fine del film è relativo, chi vince o chi perde conta poco in questa storia. Quello che Coogler e Stallone ci hanno voluto raccontare è che bisogna tentarle tutte per arrivare in cima alla scalinata, il percorso non è facile per nessuno, non abbiamo la verità in tasca e le insidie sono dietro ad ogni angolo. Il motivo per cui ne vale veramente la pena di arrivare fino all'ultimo scalino è perché da lì la vista poi è straordinaria, dipinta con i ruvidi colori della vittoria.

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